COME RETRIBUIRE IL MERITO

COME RETRIBUIRE IL MERITO

La retribuzione variabile incentivante e l’utilizzo delle stock options

Il raggiungimento degli obiettivi aziendali è un driver di primaria importanza per la crescita. I premi incentivanti sono un metodo efficace per centrare questi obiettivi, fidelizzare il capitale umano, esortare all’utilizzo attivo di competenze specifiche e soprattutto dare il giusto valore e il dovuto riconoscimento al Merito. L’analisi verte sulle diverse modalità di retribuzione variabile incentivante, in particolare sulle stock options, con focus sulle caratteristiche di natura fiscale che le rendono appetibili sia per le aziende che per i lavoratori.

Nell’attuale contesto lavorativo è sempre più complesso porre in atto azioni che incentivino e diano il giusto compenso al merito. Questo è un tema trattato molto a livello manageriale, dove il lavoro svolto, e quindi il suo diretto impatto, è sicuramente più quantificabile.

Ma è possibile adottare provvedimenti di questo tipo in ambiti più generali del mondo del lavoro?

L’art. 2099 c.c. [Retribuzione], nel comma 3, dispone che «Il prestatore di lavoro può essere retribuito, in tutto o in parte, con partecipazioni agli utili o ai prodotti, con provvigioni o con prestazioni in natura». Questa retribuzione variabile, che può sostituire o anche solo integrare quella fissa, può assumere diversi modelli, ma si basa sempre su delle regole predeterminate e viene corrisposta solo al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Perché la retribuzione variabile possa essere identificata come sistema incentivante deve essere caratterizzata da obiettivi condivisi e raggiungibili, il lavoratore deve avere l’abilità di influire sull’obiettivo e le somme ricevute devono poter essere espresse come percentuale della RAL annua.

All’interno della categoria dei sistemi incentivanti, si possono poi individuare modelli di profit sharing o gain sharing (su prestazioni aziendali o di gruppo) e incentivi individuali.

Il profit sharing si basa su obiettivi o performance a livello aziendale (ed è quindi più incentrato sul management), mentre il gain sharing si basa su specifiche voci di costo o qualità, a livello di azienda così come di singola divisione (premiando il management o i team la cui cooperazione abbia portato i risultati richiesti).

Infine si hanno gli incentivi individuali, da implementare su obiettivi quantitativi o su competenze specifiche, che possono essere sia di breve che di lungo termine. In tutti i casi, la retribuzione variabile è il metodo principalmente usato dalle aziende per ridurre i costi fissi e concentrare il rischio sul lavoratore, laddove il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati porta retribuzioni percentualmente più basse, se non nulle, del bonus pattuito, mentre l’aumento di produttività aziendale ripaga l’eventuale bonus distribuito.

Ciò detto, è indubbiamente una formula dal potenziale elevato che può e deve essere applicata maggiormente. L’idea di fondo non è soltanto quella di incentivare chi lo merita, ma anche quella di fornire alle aziende e ai lavoratori un’alternativa meno costosa a livello fiscale.

Infatti il Governo ha, negli anni, sempre applicato vantaggi fiscali e contributivi alle somme erogate.

Per il 2019, i premi di produzione godono di una tassazione agevolata con imposta sostitutiva del 10% fino ad un massimo di € 3.000, o fino a € 4.000, con l’aggiunta di un esonero parziale dagli obblighi contributivi (su un massimo di € 800), nel caso di coinvolgimento paritetico dei lavoratori. È stata inoltre alzata la soglia relativa al reddito da lavoro dipendente di chi può beneficiare di questo regime di favore, portandola ad € 80.000 annui.

Altra modalità di percezione di questi bonus, con annessi benefici, è quella sotto forma di benefit di welfare aziendale, ovvero come contributi per l’assistenza sanitaria o per la previdenza complementare, oppure sotto forma di spese per finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto (circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 5/E del 2018).

Tali benefit, unitamente agli acquisti o rimborsi per abbonamenti per il trasporto pubblico locale, ricadono in regime di totale esenzione fiscale.

È altresì molto importante notare come il requisito principe in base al quale possono essere erogati tali bonus, monetari o sotto forma di welfare, sia che l’incremento di produttività dell’azienda o del dipartimento sia verificabile.

L’incentivazione a lungo termine è invece un caso molto più complesso e variegato. Diversi sistemi vengono messi in atto per mantenere in azienda le risorse migliori (c.d. key people retaining) o per premiare competenze specifiche (c.d. pay for competence).

Il sistema più comune è sicuramente lo stock option plan, ovvero un piano a lungo termine dove al lavoratore, al raggiungimento di obiettivi temporali o di performance, vengono attribuite quote societarie o azioni (che talvolta sono soggette a vincoli). Queste eventuali restrizioni possono essere di carattere temporale (quali l’assegnazione di tali quote/azioni in base alla permanenza in azienda del lavoratore, o l’impossibilità di cedere tali quote/azioni prima di una data specifica, in tutto o in parte) o di carattere più specifico (come nel caso di un phantom stock option plan, dove il valore delle quote/azioni viene predeterminato nel momento del conferimento, con l’onere da parte dell’azienda di corrispondere la differenza di valore se la valutazione al momento della vendita sarà superiore a quella nominale).

Concentriamoci su questa forma specifica di retribuzione variabile incentivante: le stock options.

Essendo diretta agli individui (e non necessariamente a team o solo alla dirigenza apicale), è sicuramente la più attuabile. È una formula di matrice anglosassone, ma a livello globale viene utilizzata specialmente nel settore del tech, dove è abbastanza applicata la prassi del poter convertire in quote una qualsiasi percentuale dello stipendio mensile. In Italia è poco diffusa per motivi culturali ma soprattutto di natura ‘borsistica’: non sempre il Mercato è in grado di prezzare adeguatamente le quote aziendali (soprattutto in presenza così preponderante di PMI), che sono tra l’altro parte di un contesto relativamente illiquido.
Anche in questo caso si ha un sistema di tassazione agevolato, con sola applicazione della tassazione sul Capital Gain se le quote/azioni vengono vendute dopo i 3 anni e non alla società emittente/datore di lavoro. In più, si applica un regime di totale esenzione per valori non superiori ad € 2.065,83.

Il mercato del lavoro, in Italia come in Europa, è sicuramente caratterizzato da costi molto elevati ed una forte presenza dei sindacati.

Questa dicotomia si palesa, nel contesto analizzato, nella contrapposizione tra gli incentivi basati sulla redditività d’impresa (proposti dalle aziende) e quelli fondati su indici di efficienza più direttamente correlati all’operato dei lavoratori (promossi dalle organizzazioni sindacali). Trovare il giusto compromesso è sicuramente una sfida, ma con gli strumenti adeguati si può creare un contesto migliore sia per le aziende che per i lavoratori.

Alla base di tutto ciò c’è la verificabilità del raggiungimento degli obiettivi (aziendali o personali) e l’oggettiva analisi del contributo che il lavoratore ha dato. Si rende perciò utile, se non indispensabile, l’istituzione di un osservatorio all’interno dell’azienda per monitorare che il merito dei singoli o dei team venga equamente compensato e che vengano stabiliti i giusti incentivi per favorire la retention delle risorse strategiche, una fidelizzazione verso l’azienda e i suoi obiettivi e, ultimo ma non meno importante, un alleggerimento fiscale che possa beneficiare sia azienda che lavoratore.

Di FEDERICO MILANI

 

 

[Immagine da Pixabay]

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