TUTTI GLI ESSERI UMANI NASCONO LIBERI ED EGUALI IN DIGNITA’ E DIRITTI

TUTTI GLI ESSERI UMANI NASCONO LIBERI ED EGUALI IN DIGNITA’ E DIRITTI

Eleanor Roosevelt nel 1963 scriveva “The world of the future is in our making. Tomorrow is now. It is today that we must create the world of the future”. La Parità di genere è un principio giuridico. Uno dei primi passi nella direzione della Parità di Genere fu operato da Tina Anselmi nel 1977 con la legge n. 903. La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Puntare sull’occupazione femminile rappresenta un vantaggio competitivo e, in tempi di recessione, può accelerare l’uscita dalla crisi. Alcune delle soluzioni potrebbero essere la creazione del co-working per le donne volenterose di riprendere a lavorare ma che si imbattono quotidianamente nelle difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, oppure l’obbligo, in capo alle aziende, di avere la c.d. “Certificazione Pari opportunità – Certificazione sull’equità di genere”.

Il 10 dicembre 1948, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani «come ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione».

La Parità di genere è un principio giuridico.

Essa è intesa come l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo. È un principio che si applica alle questioni di genere, soprattutto, che vedono protagoniste le donne.

Perché proprio le donne?

Perché le donne sono pagate meno degli uomini, anche se ricoprono lo stesso ruolo. Inoltre, hanno più difficoltà a trovare lavoro perché la maternità è vista come un ostacolo. Perché alle donne spesso viene limitato l’avanzamento di carriera e il raggiungimento di posizioni apicali.

Il 24 marzo del 1947 l’Assemblea costituente approvava l’art. 3 cost. Articolo che proclama l’uguaglianza di fronte alla legge senza distinzione di sesso.

Solo la prima tappa di un lungo e faticoso cammino per l’affermazione della parità di genere.

Solo nel 1950 venne promulgata una legge per la «tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri». Legge fondamentale che introduce il divieto di licenziamento dall’inizio della gestazione fino al compimento del primo anno di età del bambino. Il divieto di affidare alle donne incinte il trasporto e il sollevamento di pesi ed altri lavori pericolosi, faticosi o insalubri. E il divieto di adibire al lavoro le donne nei tre mesi precedenti il parto e nelle otto settimane successive salvo possibili estensioni.

Rimaneva però il problema delle clausole di nubilato che, se inserite nei contratti di lavoro, potevano causare la perdita del lavoro per le donne appena si sposavano. Le norme che vietano il licenziamento in caso di matrimonio e sostengono la maternità delle lavoratrici agricole vennero approvate solo nel 1963.

Un passo nella direzione giusta fu operato da una Donna, Tina Anselmi, la prima donna Ministro e all’epoca titolare del Dicastero del Lavoro con la l. 9 dicembre 1977, n. 903, sulla «Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro».

Ma ulteriori interventi furono necessari al fine di ribadire il divieto di ogni discriminazione in base al sesso. Non solo al momento dell’assunzione ma per tutta la durata del contratto di lavoro, sia nel settore pubblico sia in quello privato attraverso il d.lg. 9 luglio 2003, n. 216 di attuazione della direttiva 200/78/CE.

Ma gli interventi sulla parità di genere trovano sintesi nel Testo unico nel 2001. Raccoglie e aggiorna mezzo secolo di disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. Un provvedimento che riordina le norme vigenti sulla salute della lavoratrice. Sui congedi di maternità, paternità e parentali, sui riposi e permessi, sull’assistenza ai figli malati, sul lavoro stagionale e temporaneo, a domicilio e domestico.

Aprendo uno sguardo sul mondo, osserviamo che nel settembre 2015 i Governi dei 193 Paesi membri dell’O.N.U. hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile: un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità.

Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (M.D.G.) che li hanno preceduti, rappresentano obiettivi comuni su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo e, per citarne alcuni, la lotta alla povertà, l’eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico.

Gli ‘Obiettivi comuni’ riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità.

Mentre il mondo ha fatto progressi nella parità di genere e nell’emancipazione delle donne attraverso gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (tra cui la parità di accesso all’istruzione primaria per ragazzi e ragazze), donne e ragazze continuano a subire discriminazioni e violenze in ogni parte del mondo.

La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Garantire alle donne e alle ragazze parità di accesso all’istruzione, alle cure mediche, a un lavoro dignitoso, così come la rappresentanza nei processi decisionali, politici ed economici, promuoverà economie sostenibili, di cui potranno beneficiare le società e l’umanità intera.

Le donne sono più vulnerabili alla violenza e alle molestie sul lavoro, alla retribuzione bassa e disuguale, alla mancanza di voce e rappresentanza.

In Italia, purtroppo, nonostante tutte le norme siano ad ora promulgate sono tante, soprattutto tra i privati, quelle aziende nelle quali le pratiche discriminatorie continuano ad estendersi a tutti gli aspetti dell’occupazione, compresi retribuzione, avanzamento di carriera, nonostante la l. 12 luglio 2011, n. 120 dove sono state imposte le c.dd. ‘quote rosa’ nei Consigli di Amministrazione.

Ciò che viene messo a fuoco, tuttavia, è che non è più possibile per i governi, i lavoratori, i datori di lavoro o le organizzazioni internazionali affermare che stanno avanzando l’uguaglianza di genere in assenza di un’agenda proattiva e coraggiosa e di una volontà politica incrollabile.

«Con impegno e scelte coraggiose, può esserci un salto di qualità per far si che il futuro del lavoro non continui a perpetrare le disuguaglianze del passato. L’uguaglianza di genere è un vantaggio per tutti».

Ciò che viene messo a fuoco, tuttavia, è che non è più possibile per i governi, i lavoratori, i datori di lavoro o le organizzazioni internazionali affermare che stanno avanzando l’uguaglianza di genere in assenza di un’agenda proattiva e coraggiosa e di una volontà politica incrollabile. La trasformazione non avverrà in modo organico o con fasi provvisorie e sconnesse. Le scelte devono essere fatte ora e potrebbero non essere sempre popolari, per garantire un migliore futuro del lavoro a tutti.

Diverse sono le aziende, soprattutto multinazionali, che si stanno indirizzando verso la «Certificazione Pari opportunità – Certificazione sull’equità di genere». Aziende che considerano la diversità un valore, solo da idee differenti si generano creatività, innovazione e risultati e che ritengono che garantire una cultura del posto di lavoro in cui donne e uomini abbiano pari opportunità di avanzamento e retribuzione diventa determinante per l’evoluzione delle aziende e del loro mindset. Innanzitutto è l’occasione per un momento più approfondito di analisi. Una mappatura rispetto ai processi aziendali e alle diverse iniziative e progetti intrapresi rispetto alla gender diversity. Allo stesso tempo è anche un messaggio chiaro rispetto al posizionamento aziendale. Utile anche in un’ottica interna di employer branding ed esterna nei confronti dei clienti.

Nessuna posizione viene presa sulla preoccupante situazione della disoccupazione femminile. Sugli strumenti necessari per il superamento degli ostacoli nell’accesso alle carriere da parte delle donne. Sulla disparità di retribuzioni tra uomini e donne a parità di incarico. E sul ruolo delle imprese femminili come fattore di crescita.

Eppure la partecipazione delle donne nel mercato del lavoro consentirebbe una ripresa economica dell’intera società. Si tratta di dati concreti e certi. Il frutto di analisi e di studi approfonditi da parte di studiose/i della ‘Womenomics’ secondo la quale il lavoro delle donne è oggi il più importante motore dello sviluppo mondiale.

Puntare sull’occupazione femminile rappresenta un vantaggio competitivo e, in tempi di recessione, può accelerare l’uscita dalla crisi.

«The world of the future is in our making. Tomorrow is now»
Eleanor Roosevelt

Soluzione. Una delle tante soluzioni che si potrebbero apportare, per esempio nel caso delle neomamme, potrebbe essere l’allestimento di uno spazio di co-working per quelle che vorrebbero riprendere a lavorare, ma che hanno problemi ad organizzarsi, per le neo-mamme potrebbe essere di grande aiuto poter lavorare sapendo che qualcuno si occupa dei loro figli.

Altra soluzione, rendere obbligatoria una Certificazione delle pari opportunità al fine di produrre evidenze sul gap salariale e sulla Gender Equality. La Certificazione garantisce anche il rispetto della normativa di riferimento sulle Pari Opportunità, in particolare:

– direttiva europea e relativa applicazione italiana (d.lg. n. 196 del 2007 sulle Pari Opportunità tra uomini e donne delle pubbliche amministrazioni);
– prevenzione del rischio da stress da lavoro (art. 28, d.lg. n. 81 del 2008);
– d.lg. n. 5 del 2010 (attuazione della direttiva 2006/54/CE relativa al principio delle Pari Opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego);
– art. 46, d.lg. n. 198 del 2006 – Rapporto sulla situazione del personale.

Una tale certificazione, inoltre, dal punto di vista strettamente di economia aziendale, consente all’Azienda di richiedere la riduzione del tasso medio del premio INAIL, relativamente agli impegni presi in tema di Responsabilità Sociale di Impresa.

Migliora gli aspetti di gestione interna, attraverso:
• miglioramento del clima interno dell’azienda;
• miglioramento della qualità di vita-lavoro di donne e uomini;
• miglioramento della partecipazione, motivazione, impegno;
• ottimizzazione dello sviluppo delle risorse umane, compresi i gruppi che sono sotto-valorizzati;
• soddisfazione dei diversi bisogni dei portatori di interesse;
• riduzione dell’assenteismo e turn-over;
• aumento della produttività;
• valorizzazione delle differenze di genere come valore aggiunto.

Inoltre, migliora l’immagine esterna anche attraverso:
• maggiore attrattività come posto di lavoro, in quanto considerato equo in termini di pari opportunità;
• miglior qualità del prodotto e servizio.

Di ORNELLA FILIPPUZZI

 

[Immagine da Pixabay]



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