UNA RIFORMA INIQUA E A COPERTURE INCERTE: LA FLAT TAX

UNA RIFORMA INIQUA E A COPERTURE INCERTE: LA FLAT TAX

In Italia non sempre la realtà dei fatti è pari alle intenzioni del legislatore: quando i limiti del bilancio pubblico non sono in linea con le esigenze elettorali ci si può ritrovare di fronte a norme che possono aumentare le incertezze applicative a fronte di sicure nuove forme di iniquità.

Con la legge di bilancio 2019 (n. 145 del 2018), si è dato avvio all’ampliamento della tassazione forfetaria ai redditi delle c.dd. piccole partite Iva. Tale istituto non rappresenta una novità assoluta per il nostro ordinamento, seppure negli anni ha subito non poche modifiche.

L’attuale Governo ha più volte ribadito la volontà di ampliare ulteriormente la platea dei beneficiari fino ad arrivare
all’applicazione del c.d. sistema della Flat Tax a tutti i contribuenti.

Si parla di un sistema che prevede l’applicazione di una aliquota fissa sul reddito lordo prodotto dai contribuenti, ridotto di poche e ben identificate voci di costo. A detta dei fautori di tale strutturale riforma del sistema tributario, questa impostazione chiara, immediata e particolarmente vantaggiosa, produrrebbe l’effetto di una imponente emersione del cd. PIL “sommerso” con benefici
sulla finanza pubblica.

Questa riforma appare invece carente, tra gli altri, sotto 3 aspetti:
1. Trasparenza
2. Costituzionalità
3. Incertezza delle coperture.

Non sempre ciò che appare semplice è realmente trasparente: l’applicazione dell’aliquota unica forfetaria era nata nelle intenzione dei precedenti legislatori per semplificare le valutazioni fiscali ai piccolissimi contribuenti. Dal 2018 la platea dei beneficiari è stata raddoppiata – in considerazione dei livelli di fatturato ammessi – e l’intenzione è quella di proseguire nell’incremento anche per il futuro.

Se è vero che un piccolo contribuente ha mediamente basso livello di spese sostenute per la produzione del reddito (e quindi la presunzione che una percentuale del suo fatturato equivalga all’utile conseguito), ciò tende ad essere sempre meno vero all’aumentare del reddito lordo prodotto. Per tale motivo l’applicazione di imposte sull’utile presuntivamente “pre-calcolato” potrebbe vedere tassati anche una parte dei “costi” prodotti. Si potrà obiettare che tale rischio è bilanciato dalla applicazione di aliquote ridotte: probabilmente vero ma ovviamente in parte. Inoltre (e ci ritorneremo parlando della incertezza delle coperture) per il mondo delle partite Iva, l’applicazione della Flat Tax  comporterà senza alcun dubbio l’incremento degli oneri di “produzione” diventando, ad esempio, l’Iva una voce di costo non più recuperabile.

Sempre in tema di trasparenza, la tassazione “piatta” – secondo quelle che sono le intenzioni del legislatore – sarà in parte finanziata con la forte riduzione delle detrazioni d’imposta; queste ultime sono uno strumento, a volte abusato, con il quale il legislatore supporta particolari categorie di contribuenti (variabili a seconda del tipo di reddito prodotto) per venire incontro a spese (mediche, assicurative, di istruzione, etc.) non evitabili, anche al fine di garantire un supporto a fasce di cittadini più deboli.

Ebbene applicare una aliquota unica per tutti finanziandola anche con la riduzione o soppressione di detrazioni/risparmi di imposte siamo sicuri sia trasparente?

Collegandoci al discorso delle detrazioni, non possiamo non evidenziare gli importanti dubbi di carattere costituzionale a fronte della ipotesi di applicazione “a tappeto” della flat tax. La nostra carta costituzionale (art. 53) prevede che «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva» e che «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività». Ebbene appare quasi superfluo argomentare troppo questo aspetto lapalissiano: siamo sicuri che applicare indistintamente a tutti i contribuenti la stessa aliquota fiscale sia rispettoso dell’art. 53 cost.?

Siamo sicuri che i fautori di tale riforma non abbiano l’obbligo di provvedere alla modifica costituzionale, con tutto ciò che comporterebbe, prima della eventuale entrata in vigore di una riforma tributaria così epocale?

Infine, l’introduzione a regime della aliquota unica per tutti i contribuenti appare ai più molto lacunosa dal punto di vista delle coperture finanziarie. In qualsiasi trattato di economia politica viene dimostrato che una riduzione delle aliquote fiscali può comportare un incremento delle entrate pubbliche per due ordini di motivi: impulso dato all’economia con conseguente maggior Prodotto Interno Lordo da attrarre a tassazione; emersione dell’economia sommersa che reputerebbe meno vantaggiosa la via della evasione fiscale a fronte di un onere contenuto e sostenibile. Il problema è capire qual è aliquota fiscale che consenta di rispettare questi assiomi economici.

Quanto detto va inoltre letto congiuntamente al nostro bilancio pubblico. Parliamo di uno Stato che, anche per garantire un importante copertura ai costi sociali, affronta spese strutturali  importanti. Ma parliamo anche di uno Stato che per aver “finanziato in deficit” molte delle annualità precedenti si trova oggi a fronteggiare un livello di indebitamento fra i più importanti al mondo, con i conseguenti riflessi in tema di necessaria copertura degli oneri finanziari. Ebbene, a fronte dei due aspetti testé richiamati, possiamo ipotizzare che una riduzione fiscale che andrebbe da pochi punti percentuali (sperando in sistemi compensativi per i redditi bassi) a molti punti percentuali (anche il 50/60% teorici per redditi alti ed altissimi) possa essere finanziata grazie agli effetti positivi sull’economia italiana e dalla fantomatica emersione della evasione fiscale? Siamo sicuri che tale riforma non esporrebbe il sistema Italia ad un irreparabile rischio di aumento del deficit che verrebbe appesantito dall’effetto moltiplicativo degli interessi sul debito pubblico?

Ebbene, noi non siamo contro le necessarie riduzioni del carico fiscale italiano: l’Italia ne ha bisogno! Ma affinché queste possano essere strutturalmente sostenibili non possono basarsi su “scommesse” su futuri scenari economici, che in una economia globalizzata non possono essere influenzati da un singolo paese e da una singola, seppure importante, riforma fiscale.

Nel sistema Italia, l’unica possibilità di riduzione fiscale è quella “graduale” che possa essere sostenuta dal bilancio pubblico con
adeguata pianificazione, che sia equa e che consenta il mantenimento di buoni livelli di spesa sociale (da rivedere evitando sprechi inutili e finalità non raggiunte), continuando così a differenziare riforma il nostro Paese da economie più ricche di finanza ma più deboli nel sociale.
Di VINCENZO CARDO

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