La vita che vorremmo
Siamo in un periodo di grande sviluppo economico e sociale. C’è ancora molto da fare, ma si presta più attenzione che in passato alle minoranze e alle fragilità.
Eppure siamo tutti insoddisfatti. E, se ci viene chiesto che vita vorremmo, sicuramente risponderemmo con delle cose diverse da quelle che abbiamo.
Ci manca sempre qualcosa.
Ci manca la felicità, nella quale non riusciamo mai a investire davvero.
Su questo disagio diffuso dobbiamo riflettere.
Il mondo che vorremmo è di solito fatto di benessere economico. Vorremmo poterci permettere di avere una barca, un’auto di lusso, una bella casa al mare. Immaginando un futuro migliore, pensiamo sempre solo a noi stessi.
Verso la fine dell’epoca fascista, Aldo Moro giocò la sua partita più importante. Scritti e discorsi si concentravano tutti sul concetto di ‘antifascismo’. Un concetto, diceva, che dovrebbe essere così forte da fare da sfondo all’intera Costituzione.
Secondo l’insegnamento di Moro, essere antifascisti non vuol dire soltanto essere contrari a una certa corrente politica. L’antifascismo è un modo di essere e pensare, ed esprime la responsabilità che abbiamo tutti di essere inclusivi, di pensare all’altro e di non concentrare tutte le energie soltanto su noi stessi e la cerchia ristretta dei nostri cari.
Aldo Moro raccontava di essere entrato in politica e aver scelto i colori del partito con l’entusiasmo di chi compie una scelta religiosa. Sentiva di essere chiamato dalla dottrina sociale della Chiesa, fondata sulla solidarietà e l’altruismo.
Il messaggio fortissimo di chi non esprime soltanto un’idea, ma propone la concretezza dell’azione e l’importanza della parola, promovendo l’uso di termini legati a un senso di intolleranza e violenza. Spinge a valorizzare il pluralismo e ad abbandonare la rabbia, per un proficuo incontro di pensieri diversi e il convogliare di punti di vista anche opposti in un progetto unico, nell’interesse di tutti.
Qualcuno considerava queste parole solo bolle di sapone, discorsi teorici e senza senso.
Non è vero. Il tempo ha dato ragione a Moro. Le tensioni moderne sono le stesse del suo tempo.
Oggi riscopriamo quanto sia importante la bellezza dei piccoli gesti e quanto sia fondamentale ripristinare la cultura del rispetto, che impone di dismettere ogni fare presuntuoso e arrogante di affermazione del proprio pensiero su quello altrui. Non è vera leadership quella di chi pensa di poter decidere da solo e di non aver bisogno del confronto con gli altri.
In vista della prossima direzione nazionale di Meritocrazia Italia e della ristrutturazione dell’organigramma interno, ho voluto ascoltare individualmente tutti i dirigenti, perché il nostro è un progetto di condivisione. È gioco di squadra.
Ogni singolo componente del gruppo conta, ognuno ha il diritto e il dovere di raccontare la propria versione della storia, la propria visione.
Così, con la coesione, si eliminano le tensioni sociali.
Con questo impegno si superano le divisioni, che sono sempre deleterie.
Così si dà concretezza allo spirito antifascista.
Tornando alla verità dei rapporti, fuori dal mondo virtuale della Rete, che distorce il reale e rende tutto artificiosamente perfetto. I difetti non vanno rinnegati, ma accettati e trasformati in preziose particolarità.
Meritocrazia Italia è antifascista perché, nei fatti, dà spazio a tutti. Esalta la relazione e abbatte gli egoismi, prendendo le distanze da ogni eccentrica valutazione soggettiva delle cose e da ogni desiderio di prevaricazione.