Cittadini liberi, non solo consumatori

Cittadini liberi, non solo consumatori

Nel descrivere la società contemporanea, uno scrittore americano prende atto del forte individualismo che la caratterizza. Una predominanza dell’io che porta a spingere sull’emotività tanto quanto sull’economia.
Viviamo un momento di consumismo estremo. In velocità ci accaparriamo beni materiali (abbigliamento, automobili, barche), ma con la stessa velocità, e la stessa leggerezza, consumiamo anche affetti e relazioni.
Subiamo un bombardamento mediatico continuativo, che ci spinge a fare delle scelte, mettendoci alle corde, senza concedere il giusto tempo di riflessione. I bisogni sono creati ad arte e instillati nel cittadino sempre meno consapevole e desideroso solo di accettazione sociale, di essere considerato a pieno diritto parte del proprio contesto di vita. La persona diventa ambita preda economica.
Così il mercato funziona. Ma cresce anche il potere di chi lo pilota, e pilota il volere, i gusti e i sentimenti delle masse. Allargando la prospettiva, nello stesso modo si è in grado di suscitare odio o amore verso un Paese e creare i presupposti della pace e della guerra.
Questo consumismo a tutto tondo ha contribuito ad allontanare tutti dal valore democratico della libertà partecipativa.
Forse è sempre stato così. O forse la situazione è degenerata.
In passato, il potere è sempre dipeso dal volere dei cittadini. Non c’era un re, un feudatario, un Papa al riparo dalle possibili reazioni dettate dal malcontento popolare. Nessuna sedia era realmente intoccabile.
Oggi invece consentiamo a pochissime persone di conservare nelle proprie mani il potere più grande, che non è soltanto economico, ma è soprattutto informativo, politico. Affidiamo a pochi il controllo sulle nostre vite. Basti pensare a quanto sanno di noi i gestori delle piattaforme social.
Apriamo alla socialità virtuale per poi chiuderci nell’isolamento reale. Lottiamo per la riservatezza e poi mettiamo le nostre informazioni più riservate a disposizione di sconosciuti che le usano per il proprio ritorno economico. La società delle contraddizioni, del formalismo perbenista di chi non sa puntare alla sostanza.
Lavoro e organizzazione sono sempre stati aspetti fondamentali della vita dei consociati. Dalle piccole botteghe artigiane siamo passati alle multinazionali, che coinvolgono centinaia di dipendenti e milioni di consumatori in tutto il mondo. Siamo passati dal contatto diretto con il venditore agli acquisti fatti con un click. Tutto questo senza che nessuno si preoccupasse degli effetti sull’economia delle piccole imprese, che rappresentano ancora l’ossatura del nostro Paese. Il valore dell’autenticità dei piccoli negozi andava difeso, per non cancellare la tradizione, valorizzandola con l’innovazione.
Calpestiamo con indifferenza il sacrificio e l’ambizione di tanti, di tante famiglie, e cancelliamo realtà locali che erano, e sono, non soltanto punti di commercio, ma soprattutto luoghi di ritrovo e socialità.
Nel virtuale si perdono le passioni. Come se pian piano finisse la linfa vitale.
Si perdono anche le particolarità, in un processo di standardizzazione dei processi e delle persone. Anche Taylor e Ford ragionavano sui processi produttivi, ma nella proiezione dell’inclusione lavorativa e della valorizzazione del lavoratore-persona, e nel desiderio di favorire progetti capaci di dare lustro al Paese. Invece oggi la produzione non ha più bandiera. Sono i player internazionali a decidere dove produrre per contenere i costi e allargare i margini di guadagno, puntando alle masse, sempre più povere.
Ma, procedendo in questa direzione, la più grande povertà continuerà a essere quella democratica. Saranno sempre meno i coraggiosi che si proporranno di lasciare una traccia e di farsi modello da seguire.
Anche in Meritocrazia continuano a esserci tanti che dicono di non avere tempo, o di avere impegni più importanti, come se lavorare al cambiamento fosse uno dei tanti hobby possibili da curare a tempo perso.
È un errore credere che tutto questo nostro impegno non possa portare a nulla di concreto, perché solo progetti come il nostro possono davvero fare la differenza, sovvertire le regole del gioco e ridare vigore alla democrazia. È un modo per ricordare che il vero potere è nelle mani dei cittadini, capaci di governare ogni cosa di interesse comune. Devono solo assumerne consapevolezza, e trovare la forza di fare scelte libere.



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