IL CODICE ROSSO

IL CODICE ROSSO

Violenza di genere tra esigenze di tutela, repressive e di celerità: prospettive

Il presente articolo intende offrire una disamina dei principali interventi legislativi in materia di violenza domestica e di genere e, in particolare, una prima valutazione delle principali novità contenute nella recentissima l. n. 69 del 2019 (c.d. Codice Rosso), per il contrasto delle violenze di genere e delle sue maggiori difficoltà applicative, a partire dall’insufficienza degli organici delle Procure e del personale di P.G. deputato alle indagini. Nella seconda parte, vengono illustrate alcune proposte per rendere più efficace la repressione di tali condotte, sia sul piano strettamente normativo, sia sotto il profilo dell’educazione al rispetto delle differenze di genere.

Il nostro legislatore, preso atto del preoccupante allarme sociale destato da alcuni fatti di cronaca, inizia ad affrontare la problematica della violenza di genere e domestica sin dal 2009.

Lo strumento utilizzato è sempre quello della decretazione d’urgenza, ritenendosi, così come chiarito dal Presidente della Repubblica nella relazione di ratifica della l. n. 119 del 2013, che «il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne ed il conseguente allarme sociale che ne è derivato, rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica».

Sotto l’egida di tale principio ispiratore che permea la legislazione di settore era già stato emanato il d.l. n. 11 del 2009, conv. nella l. n. 38 del 2009, introduttivo della nuova fattispecie del reato di atti persecutori, comunemente conosciuta come stalking, di cui all’art. 612 bis c.p., oltre che alcune specifiche misure di prevenzione e tutela della vittima ad esso correlate.

In seguito, con la l. n. 77 del 2013, l’Italia ratificava la «Convenzione di Instanbul», sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, con la quale, per la prima volta, veniva creato un quadro internazionale uniforme, in cui la violenza contro le donne viene riconosciuta quale violazione dei diritti umani, oltre che come forma di discriminazione.

Coevo alla legge di ratifica della Convenzione di Instanbul era l’ulteriore intervento legislativo assunto sempre con decretazione d’urgenza, il d.l. n. 93 del 2013, conv. nella l. 119 del 2013, già sopra menzionata, che inasprisce la disciplina previgente in tema di atti persecutori, introduce l’aggravante della violenza assistita (violenza indiretta a cui si espone un minore membro della famiglia), nonché quella della violenza sessuale qualificata in danno di minore, donna in stato di gravidanza o persona con la quale si intratteneva una relazione coniugale o comunque affettiva. La legge prevede anche un meccanismo in virtù del quale il Procuratore della Repubblica che procede per i reati di maltrattamenti in famiglia o atti persecutori, commessi in danno di un minorenne o da uno dei genitori in danno dell’altro, allorché il minore vi abbia assistito, ha l’obbligo di darne comunicazione al Tribunale per i Minorenni territorialmente competente, affinché provveda all’adozione di tutte le misure limitative della responsabilità genitoriale che ritenga necessarie.

È, pertanto, prevista una disciplina trasversale che nasce dalla consapevolezza che gli aspetti penalistici della vicenda si ripercuotono necessariamente sulla regolamentazione dei rapporti tra le parti in ambito civilistico.

Nel marzo 2017, poi, l’Italia viene condannata dalla Corte EDU (con la pronuncia Talpis c. Italia, 2 marzo 2017, ric. n. 41237/14), per non aver approntato misure idonee ed adeguate a proteggere la persona offesa da un reato rientrante nel novero di quelli caratterizzati da violenza domestica e di genere.

È all’interno di tale contesto che si colloca la l. 19 luglio 2019, n. 69, cosiddetta Codice Rosso, che si pone l’obiettivo di punire pesantemente il reo, nell’ottica di una giustizia penale dissuasiva, ed allo stesso tempo di proteggere e supportare la vittima, soddisfacendo un’esigenza di celerità dell’intervento statuale, quantomeno nella fase iniziale del procedimento penale.

La legge garantisce la priorità nella trattazione delle indagini e l’immediata iscrizione del presunto reo nel registro degli indagati, nonché l’audizione della persona offesa in tempi brevissimi, onde evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria, incrementa i diritti di informazione e protezione delle vittime.

Pertanto, la disciplina penale, sia sostanziale che processuale, della violenza domestica e di genere ne esce rinnovata e modificata con l’inasprimento generale delle pene e la previsione dell’obbligo per il magistrato del pubblico ministero di sentire la persona offesa che sporge denuncia entro i successivi tre giorni, l’innalzamento ad un anno (a fronte del previgente termine di sei mesi) per proporre querela in casa violenza sessuale, nonché la creazione di autonome fattispecie di reato specifiche, quali le lesioni permanenti al viso (c.d. sfregio) e il c.d. revenge porn o porno-vendetta, cioè la condivisione pubblica di immagini o video intimi tramite internet senza il consenso dei soggetti interessati.

Al fine, poi, di neutralizzare la recidiva prevede forme di sostegno psicologico a posteriori, con finalità anche di recupero, il cui rifiuto da parte del reo può determinare la revoca della sospensione condizionale eventualmente concessa o, comunque, è suscettibile di valutazione ai fini della concessione dei benefici penitenziari, al momento dell’esecuzione della pena medesima.

Al di là del merito e dello specifico contenuto di tutti i provvedimenti normativi che si sono sino ad ora succeduti ed in vigore, il loro filo conduttore è la considerazione del femminicidio, inteso come qualsiasi forma di violenza sistematica su una donna in quanto tale, quale fenomeno criminale, cui si debba porre rimedio a posteriori, in termini di repressione, di dissuasione, di cura del reo e di prevenzione della recidivanza.

In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una profonda disarticolazione dell’unità della famiglia, che costituisce un’istituzione sociale e la struttura primaria della vita delle persone. La crisi è letteralmente esplosa, mandando in frantumi quella che é stata definita da Papa Giovanni XXIII la cellula essenziale della società.

Uno dei sintomi più evidenti di tale processo di disfacimento è rappresentato dal continuo aumento della violenza ‘domestica’ contro le donne. Tale fenomeno è stato per molti anni un aspetto fortemente sottostimato per vari e complessi motivi d’ordine psicologico e culturale. Fattori come vergogna, nonché sudditanza, prostrazione psicologica e paura, che condizionano la vita di chi subisce la violenza, rendono particolarmente difficile l’emergere di questi fenomeni. Questi aspetti, ma non solo, fanno sì che sia chi la vive sia chi ne viene a conoscenza, compie spesso dei meccanismi di negazione per giustificare o minimizzare la gravità di quanto sta accadendo, lasciando tutti più tranquilli nelle proprie sicurezze o nell’illusorio convincimento che si sia trattato di un episodio assolutamente occasionale, frutto di una temporanea incapacità di autocontrollo, destinato a non ripetersi più.

La violenza, soprattutto quella domestica, contro le donne non ha etnia, età, status sociale e condizioni economiche e culturali, né una specifica condizione psico-patologica. Si tratta di una situazione trasversale che colpisce donne di ogni tipo e viene perpetrata da uomini di ogni condizione.

Ciò che manca è una visione della problematica quale fenomeno sociale, prima ancora che criminale, che indurrebbe ad introdurre non solo misure di protezione di una vittima non ancora accertata, ma interventi di prevenzione, finalizzati a diffondere la cultura del rispetto delle diversità in generale ed a favorire il superamento di quelle sovrastrutture ideologiche e culturali che ancora caratterizzano la nostra società.

La soluzione non può essere solo repressiva/sanzionatoria ma anche preventiva investendo in maniera significativa nei centri antiviolenza, creando un presidio permanente di figure professionali specializzate (psicologi, assistenti sociali, mediatori familiari) a cui affidare una valutazione prioritaria per l’individuazione dei profili dell’urgenza e della pericolosità, nella formazione delle Forze dell’Ordine che dovrebbero affiancare le figure professionali specializzate e, soprattutto, nell’educazione, a partire dalla scuola, a cui dovrebbero essere destinati maggiori fondi per consentire la realizzazione di utili progetti educativi per favorire e rafforzare, negli alunni e nelle loro famiglie il rispetto e la valorizzazione delle differenze di genere sino a ricomprendere coloro che quotidianamente operano nei settori deputati.

Ricordiamoci sempre che gli uomini, prima di essere dei ‘mostri’ e di macchiarsi di femminicidio, sono stati dei bambini, e che proprio la mancanza di educazione al rispetto delle altrui scelte di vita spesso conduce al compimento di così efferate azioni delittuose.
Di ANNA CHIARA CASILLO, ANTONELLA PANICO e CARMEN BONSIGNORE



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