INTEGRALITÀ DEL MODELLO FORMATIVO

INTEGRALITÀ DEL MODELLO FORMATIVO

Sfida da cogliere

In continuità con i primi due articoli e le riflessioni poste negli stessi andiamo a concludere l’analisi sulla funzionalità, utilità ed efficacia del sistema Invalsi, considerando nuove prospettive in funzione non della mera misurazione delle competenze di base, bensì in ottica formativa delle conoscenze individuali del singolo. In questo si vuole portare il lettore, da una parte, a porsi delle domande che si considerano legittime, e, dall’altra, a far riflettere il legislatore su un nuovo sistema che permetta di individuare e fissare quello che dovrebbe essere il ruolo e lo scopo ultimo del percorso didattico di ciascuno, nell’interesse del Paese e dei cambiamenti ai quali stiamo assistendo.

Il 10 luglio alla Camera dei Deputati sono stati presentati i risultati del rapporto Invalsi 2019. La fotografia della situazione è al momento la sola immagine di cui disponiamo per ‘conoscere’ le condizioni in cui si trova la scuola italiana, e quindi il Paese rispetto alle così dette ‘conoscenze di base’.

Per ragioni di format del presente articolo non staremo a pubblicare ogni singola voce, bensì ci concentreremo sui risultati sostanziali che la somma delle stesse rappresentano. La relazione mostra sostanziale linearità rispetto ai dati emersi nel 2018. Le ragazze e i ragazzi che ottengono risultati ‘adeguati’ o ‘più elevati’ in relazione agli standard indicati a livello nazionale sono il 65,4% in italiano, il 58,3% in matematica, il 51,8% in inglese-reading (B2) e il 35% in inglese-listening.

Stante le cifre sopra riportate si evidenzia come molti dei ragazzi che frequentano le nostre scuole non hanno i cosiddetti requisiti minimi di conoscenza di base. Triste riscontro lo abbiamo poi nelle scuole di quattro regioni del sud dove gli allievi con risultati molto bassi arrivano al 20% se non addirittura al 25%.

Roberto Ricci, direttore generale dell’Invalsi, l’anno scorso sintetizzava questa situazione con una dichiarazione: «Un anno di scuola in Veneto vale come due anni di scuola in Calabria». Quest’anno ha affermato: «Possiamo dire che in larga parte del sud ci sono ragazzi che affrontano l’esame di terza media avendo competenze da quinta elementare». Sulla base di queste affermazioni viene naturale porsi un quesito che esula quantomeno in parte dall’articolo qui proposto, in considerazione di quanto attualmente emerge, il progetto di legge sull’autonomia differenziata, è il percorso migliore da perseguire per quello che concerne il nostro gia precario impianto educativo?

Si tiene a ricordare che l’art. 3 cost. prevede che sia compito della Repubblica provvedere al pieno sviluppo della persona umana e si crede che per il perseguimento di tale obiettivo una formazione ed una didattica uniforme con stessi mezzi finanziari e tecnici sia pilastro imprescindibile.

Tornando al tema dell’articolo, partiamo da un assunto che sembra incontrovertibile: i risultati Invalsi, entro i dovuti errori statistici, sono da dieci anni pressoché sovrapponibili, il che verosimilmente ci porta alla conclusione che forse il metodo attraverso il quale si è deciso di migliorare il sistema scolastico non porti quei frutti sperati almeno in un arco temporale come quello preso in considerazione.

Tutto l’impianto del nostro sistema di istruzione ha come pilastro la valutazione realizzata da un ente di diretto controllo ministeriale, una valutazione centralizzata, rivestita di oggettività semplicemente perché numerica, che si sostituisce nell’immaginario collettivo alle valutazioni distorte e soggettive degli insegnanti, questi d’altro canto non sembrano avere in dotazione gli strumenti per porre rimedio ad eventuali lacune degli studenti.

Da quando le prove sono CBT (computer based) ciò che viene loro restituito è solo un file che associa il punteggio x all’allievo y, senza nessun’informazione su come quel punteggio sia stato ottenuto, cosa non ha saputo lo studente, dove ha sbagliato e cosa ha saltato.

Sembra infine pacifico che al sistema Invalsi interessa valutare ogni singolo studente a intervalli regolari dai 7 ai 18 anni e seguirne l’evoluzione dei punteggi. In sostanza: interessa raccogliere dati relativi a ciascuno studente nel tempo. I punteggi dei test certificheranno le competenze di ognuno. Legittimo in questo contesto, porsi il dubbio se quelle certificazioni piano piano possano subentrare ai titoli di studio rilasciati dalle scuole pubbliche. Forse sembra questo il motivo per cui i test sono censuari e non campionari, come avviene per le rilevazioni con fini meramente osservativi.

E allora?

Dobbiamo pensare ad un Sistema Italia che sia in grado di trasformare la scuola in un’eccellenza assoluta.

La risposta si crede abbastanza semplice nel suo enunciarsi, la difficoltà sta nel metterla in pratica, ma lo spostamento dell’angolo visuale e del punto di partenza dal quale costruire l’impianto scolastico ed il suo conseguente fine può aiutare ad indicare la strada da intraprendere.

Ripensiamo ad una pedagogia radicata profondamente nei valori della Conoscenza, del se e dei saperi che costruisca un metodo fondato sul merito a sostegno di un equità volta al reale benessere dell’intera collettività.

Per far sì che questo sia possibile dobbiamo rimettere al centro la persona e non gli interessi economici, statistici e solo professionali, perché questi saranno naturale conseguenza di una didattica che vede al primo posto proprio la persona e le sue conoscenze.

Persona non come entità economica, potenziale consumatore o fruitore di servizi, ma come realtà vivente.

Ciascuno per formarsi non ha bisogno di essere incasellato o misurato periodicamente ma ha bisogno di riconoscere la propria unicità, per essere non solo ricompreso ma anche ispiratore per la collettività.

Cominciamo a pensare ad un nuovo modello di formazione fatto di multidisciplinarità specifiche che concorrano a ripensare le reali necessità dell’individuo e non del sistema economico che come abbiamo visto tende sistematicamente al mutamento e necessita di conseguenza di un adattamento che solo strumenti specifici ed insiti nella persona possono essere in grado di affrontare se e nel momento in cui si verificano.

In questo il concorso di più figure di alto livello e consapevoli del fine ultimo da perseguire possono rendersi fondamentali: docenti, sociologi, pedagoghi, psicologi, storici, esperti di diritto e molti altri potrebbero di concerto creare quell’architettura che vede l’uomo e più nello specifico la singolarità al centro, quale risorsa imprescindibile per la costruzione di una società migliore.

La direzione nella quale sembra portarci questi brevi cenni, che partendo dall’analisi del Sistema Invalsi hanno aperto riflessioni più ampie e si crede fondate, sembrano effettivamente dirigersi verso la necessità di offrire soluzioni differenti rispetto quelle fin qui utilizzate; soluzioni che vertano su un’analisi più ampia del fenomeno formativo; un sistema alternativo o integrativo che vada a colmare le lacune che negli ultimi dieci anni non abbiamo saputo colmare.

Questa potrebbe essere la strada per perseguire il fine che trova ispirazione nel già citato art. 3 della nostra Carta Costituzionale
Di LEONARDO ALLEGREZZA

 

[immagine da Pixabay]


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