LA FISCALITÀ ADDIZIONALE IN SANITÀ: BEFFA O INGANNO PER IL CITTADINO/PAZIENTE?

LA FISCALITÀ ADDIZIONALE IN SANITÀ: BEFFA O INGANNO PER IL CITTADINO/PAZIENTE?

Da attore protagonista a mera comparsa, il cittadino si trova ad affrontare da solo e con le proprie capacità economiche le inefficienze politiche di sistemi regionali che utilizzano le risorse dei singoli a copertura dei deficit accumulati nel tempo da gestioni incaute. La fiscalità addizionale e la compartecipazione alla spesa sanitaria, una beffa a danno di chi ha diritto ad accedere ad un sistema sanitario universalistico.

La legge statale determina annualmente il fabbisogno sanitario, ossia il livello complessivo delle risorse del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) al cui finanziamento concorre lo Stato.

Il fabbisogno sanitario nella sua componente ‘indistinta’ (c’è poi una quota ‘vincolata’ al perseguimento di determinati obiettivi sanitari) è finanziato dalle seguenti fonti:
entrate proprie delle aziende del Servizio Sanitario Nazionale (ticket e ricavi derivanti dall’attività intramoenia dei propri dipendenti), in un importo definito e cristallizzato in seguito ad un’intesa fra lo Stato e le Regioni;
fiscalità generale delle Regioni: imposta regionale sulle attività produttive, IRAP (nella componente di gettito destinata al finanziamento della sanità), e addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche, IRPEF. Entrambe le imposte sono quantificate nella misura dei gettiti determinati dall’applicazione delle aliquote base nazionali, quindi non tenendo conto dei maggiori gettiti derivanti dalle manovre fiscali regionali eventualmente attivati dalle singole Regioni;
compartecipazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano: tali enti compartecipano al finanziamento sanitario fino a concorrenza del fabbisogno non soddisfatto dalle fonti descritte nei punti precedenti, tranne la Regione siciliana, per la quale l’aliquota di compartecipazione è fissata dal 2009 nella misura del 49,11% del suo fabbisogno sanitario (art. 1, comma 830, l. n. 296 del 2006);
bilancio dello Stato: esso finanzia il fabbisogno sanitario non coperto dalle altre fonti di finanziamento essenzialmente attraverso la compartecipazione all’imposta sul valore aggiunto, IVA (destinata alle Regioni a statuto ordinario), le accise sui carburanti e attraverso il Fondo sanitario nazionale (una quota è destinata alla Regione siciliana, mentre il resto complessivamente finanzia anche altre spese sanitarie vincolate a determinati obiettivi).

I persistenti divari sociali e territoriali che caratterizzano il nostro SSN non costituiscono solo un problema di natura esclusivamente etica, ma una criticità che potrebbe avere effetti sulla sostenibilità politica del nostro welfare. In Italia, il cittadino sopporta una pressione fiscale molto elevata a fronte di servizi non sempre soddisfacenti, sia qualitativamente che quantitativamente.

A causa della incauta gestione dei fondi pubblici da parte di diverse Regioni, i cittadini versano crescenti addizionali delle imposte sul reddito, sicché il cittadino paga due tributi: l’uno con aliquota nazionale, uguale per tutti; l’altro con aliquota regionale, discriminata e discriminante a parità di reddito.

Dunque, alle storture politiche ed organizzative delle Regioni, si aggiunge la beffa morale e costituzionale del trattamento differenziato dei cittadini che contraddice non solo l’essenza della sanità pubblica quale servizio universale ed eguale dell’assistenza sanitaria, ma anche la parità fiscale, perché l’imposta sul reddito, produce introiti diversi da Regione a Regione.

E non è finita.

L’addizionale regionale, che viene giustificata con l’esigenza di sanare i deficit finanziari della sanità accumulati dalle Regioni, contiene un’ironia fiscale, che si traduce in ulteriore beffa a carico dei cittadini residenti in queste regioni: pagano l’addizionale più alta i cittadini residenti nelle regioni con deficit più alti e con una sanità dai livelli insoddisfacenti. Insomma, tre volte ingannati: aliquote elevate alla fiscalità generale, addizionali alla fiscalità regionale, assistenza deficitaria in senso finanziario e sanitario.

Nel 2019 quasi un italiano su due (il 44% della popolazione), a prescindere dal proprio reddito, si è ‘rassegnato’ a pagare personalmente di tasca propria una prestazione sanitaria. Le classi sociali meno abbienti mostrano peggiori condizioni di salute e restano ai margini del sistema poiché, spesso, non riescono ad accedere alle cure pubbliche e sono costrette a rinunciare non potendo permettersi la sanità privata.

Il paventato fenomeno del Commissariamento delle Regioni non ha prodotto i risultati tanto attesi, tant’è che dopo oltre dieci anni, alcune regioni continuano a non poter assicurare i livelli essenziali di assistenza a causa del mancato pareggio di bilancio necessario alla fuoriuscita dal Piano di Rientro. Naturalmente, il permanere in tale situazione, con il blocco del turn over azionato dall’ingresso in piano di Rientro, la lentezza burocratica dei Tavoli Tecnici ministeriali che frena le azioni di riorganizzazione delle regioni sottoposte, il ruotare continuo di Strutture Commissariali che ogni volta obbligano le strutture aziendali e regionali ad iniziare da zero la programmazione influenzata dalle dinamiche politiche regionali, non favoriscono il cittadino, inerme di fronte ad un apparato burocratico nel quale è diventato solo una comparsa e non, come spetterebbe di diritto, il primo attore protagonista.

Le Regioni, nel corso degli ultimi anni sono intervenute con modifiche nella regolazione nazionale sulla compartecipazione del paziente alla spesa delle prestazioni sanitarie, adottando sistemi di co-payment basati su differenti criteri, legati alla tipologia di prestazione erogata (assistenza farmaceutica, servizi ospedalieri o visite ambulatoriali), alla patologia dell’assistito e all’emergenza, oppure in base al reddito del paziente. In generale tutte le Regioni hanno adottato misure di compartecipazione alla spesa per le prestazioni sanitarie, ma all’interno della loro autonomia di programmazione sanitaria, si è venuto a creare un patchwork di sistemi che differenzia le regole della compartecipazione, e dunque le condizioni di accesso a determinati farmaci o servizi, sul territorio nazionale.

Ne deriva che la compartecipazione alla spesa da parte del paziente è utilizzato dalle Regioni in deficit solo come strumento correttivo delle inefficienze regionali per raggiungere un equilibrio di bilancio e di contenimento della spesa pubblica e non come strumento per l’uso appropriato dei servizi sanitari nell’ambito della propria autonomia finanziaria ed organizzativa.

Il persistere di questa situazione di precarietà, con ulteriore danno a carico del cittadino, sta spingendo le politiche nazionali, insistentemente, verso soluzioni alternative di gestione dei servizi di assistenza sanitaria sempre più orientati a forme di privatizzazione influenzando le scelte di riforma del sistema a favore della creazione di fondi integrativi, assicurazioni private e compartecipazione alla spesa da parte dei pazienti.

Aprire il SSN ai fondi sanitari integrativi privati solleva il problema della compartecipazione alla spesa in termini di capacità di incidere sullo stato di salute delle persone. Infatti, i fondi sanitari integrativi porteranno con sé l’ulteriore problema della divaricazione sociale tra quei cittadini che potranno permettersi un’assicurazione sanitaria privata, e i molti che già ora hanno problemi a compartecipare alla spesa pubblica. Per evitare che ciò accada, è necessario costruire un complesso sistema di esenzioni e/o di franchigie prevedendo una struttura progressiva nel pagamento dei premi assicurativi: cosa tutt’altro che facile, soprattutto in un sistema come quello italiano dove l’accertamento dei redditi e del patrimonio è sempre stata un’attività difficile. In assenza di un tale sistema tutto ciò sarebbe in netto contrasto con la possibilità di garantire uguali diritti a tutti, come recita l’art. 32 cost.

La sfida del prossimo futuro deve essere quella di porre il cittadino nella possibilità di accedere alle cure e non lasciarlo da solo di fronte alla capacità finanziaria di poterlo fare.

Oggi il grande problema che le forze politiche devono affrontare è che, mentre aumentano in tutti i sensi le capacità del cittadino, soprattutto quelle informative, diminuiscono in tutti i sensi le possibilità per lui di accedere realmente ai servizi.

Il divario tra capacità e possibilità, rilevante già in termini di prevenzione, diventa particolarmente drammatico nel caso di malattie gravi e rare per le quali le limitazioni finanziarie del cittadino non consentono l’accesso alle cure.

È per questo che occorre impegnarsi con coscienza e competenza nei vari livelli istituzionali, nazionali e regionali, affinché la sofferenza già intrinseca in una malattia non sia resa insostenibile dalla impossibilità di accedere alle cure necessarie sempre più costose e tecnologicamente avanzate.
Di ANTONELLA ORIUNNO

 

[Immagine da Pixabay]



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