La placenta sociale

La placenta sociale

Il rapporto tra madre e figli è oggetto di studio e di attenzione, da parte di storici, filosofi e sociologi.
Un legame unico che si instaura, probabilmente, fin da prima ancora del concepimento.
Un tema, comunque, che affascina.

Il cordone ombelicale non è solo un tramite per il passaggio del nutrimento. È l’espressione fisica di un collegamento che difficilmente potrà mai interrompersi.
Quella della madre è la prima voce che si ascolta. Il suo battito cardiaco la prima musica.
Anche il padre partecipa della composizione del dna, ma questo non vale, a conti fatti, quanto il contributo della madre.
È per l’uomo. Ma è vero anche per tutti gli animali. Il legame è identico, pur con le dovute differenze.

Tutti, ma proprio tutti, abbiamo bisogno di una madre, che sia artefice della nostra nascita e poi pensi alla nostra cura e alla nostra crescita.
L’uomo si è sempre voluto dare delle regole. Dallo Statuto albertino, al Codice di Giustiniano, al Codice di Hammurabi, andando a ritroso nel tempo. La Costituzione oggi traccia la nostra identità nazionale, anche se in molti passaggi è considerata addirittura anacronistica, non adeguata alla modernità. La parte relativa ai diritti fondamentali e ai doveri dei cittadini è intrisa di personalismo; al centro è la libertà personale, di domicilio, corrispondenza, parola, movimento, pensiero.
Una visione oggi annegata sotto l’onda alta dell’evoluzione tecnologica.
Non ce ne accorgiamo, ma siamo ormai privati di ogni autonomia decisionale, seguiti nelle nostre abitudini e nei nostri gusti; abbiamo perso ogni forma di riservatezza, tracciati negli spostamenti, nei pagamenti, nelle conversazioni. In nome del bisogno di sicurezza, si è sacrificata del tutto l’intimità, che poi rivendichiamo quando meno serve. Si è messi e ci si mette a nudo, pubblicamente, nei propri pensieri, nelle proprie abitudini, nei propri desideri.
I principi fondamentali sono traditi e vituperati.
In questo quadro, come si fa a ripristinare quel legame materno che unisce i cittadini al proprio Paese?

La Costituzione protegge la persona, ma non ci può davvero sentire realizzati se non si è messi nella condizione di vivere la socialità nel modo giusto, senza ansie di condivisione, senza bisogno di portare all’evidenza ogni proprio gesto, ogni proprio successo o insuccesso.
Mi è capitato di vederlo fare anche in campagna elettorale. Alcuni candidati scelgono di farsi vedere sulle piattaforme social nella loro routine quotidiana, da quando si alzano a quando rincasano. Dove vanno, con chi sono, cosa mangiano. E abbiamo l’impressione che il candidato si diverta più a fare l’uomo di spettacolo che a proporsi come soggetto impegnato seriamente nella rappresentanza dei cittadini.

La politica è un’altra cosa.
La politica deve poter garantire la crescita sociale e personale di ogni cittadino, grazie alla placenta sociale che la unisce a tutti. La politica deve nutrire e deve proteggere.
Ma può farlo soltanto elevando la propria struttura. Non cedendo alla competizione, e puntando alla sostanza più che alla forma e all’apparenza.
L’attenzione si cattura con le proposte, con la serietà, non con la sola evidenza mediatica. Diversamente, sarebbe come se una madre, in gravidanza, tenesse tutte quelle condotte che sa essere nocive per il proprio bambino, senza curarsene e pensando solo a se stessa.
Meritocrazia chiede di puntare su altro, sul valore dell’arte, della letteratura, della Cultura, che sola può elevare lo spirito e dare soddisfazione ai sentimenti. L’immediatezza dei messaggi social soffoca tutto questo, soffoca la capacità di riflessione e alimenta divisioni e odio.
La verità delle cose lascia spazio a un umanesimo tutto artificiale.

Meritocrazia giocherà su questo la sua battaglia più importante, quella per la riconquista degli spazi di libero pensiero. Lo racconta la migliore filosofia del passato, che il pensiero è l’unica cosa che sa rendere dolce l’azione.



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