La scelta giusta

La scelta giusta

Come si fa a dire se una scelta sia davvero giusta oppure no?

Di solito si aspetta. È il tempo che consegna i risultati, quando arrivano.
Ma è pure facile sbagliarsi. Alle volte si crede che la decisione presa sia la migliore possibile, quando invece si sarebbe potuto fare ancora meglio.

Fare scelte in politica è molto complicato. Si deve ragionare sulla composizione della squadra, sugli obiettivi da perseguire, sulle priorità, sulle alternative a disposizione, sul luogo in cui svolgere una certa manifestazione. Su ogni minimo dettaglio.
A rendere tutto più difficile è il fatto che la bontà delle decisioni politiche deve essere riconosciuta anche dall’esterno.
Eisenhower, Churchill, De Gaulle. Si ricordano per scelte pesantissime.
De Gaulle sceglieva di spingere sul concetto di Europa, intuendo che fosse quella l’unica strada per rendersi forti dopo il disastro della guerra. L’unica strada per assicurare al mondo una pace stabile.
Nel momento più buio per l’Inghilterra, Churchill scelse di puntare sulla conservazione dell’identità del proprio popolo e di combattere fino alla fine. Una decisione che sul momento si rivelò la meno conveniente e forse la più infelice. Con il senno di poi, fu la più opportuna.

Chi guida un gruppo deve fare i conti con le aspettative di ciascuno, con i sacrifici fatti da tanti, con gli ideali condivisi. Chi guida un gruppo ha il dovere di non deludere.
Non semplice è, tra l’altro, scegliere le persone.
Ci si candida con molta disinvoltura. Si punta al Parlamento, a un Consiglio regionale o comunale. Ma si deve fare i conti con il fatto che non si gestisce potere puro, si gestiscono passione, valori, volontà.
Il leader non compie mai la scelta migliore se si limita a seguire le proprie pulsazioni. Deve sempre tener conto anche del sentimento degli altri. Quando si fa gioco di squadra, non si sbaglia, perché il gioco di squadra porta sempre al miglioramento di tutti, anche quando alla fine si perde la partita.

La spedizione dei Mille fu ritenuta sulle prime una vera e propria follia. Cavour si trovò a decidere che fare a fronte dell’avanzata dell’esercito guidato da Garibaldi, per non pregiudicare ogni possibilità di creare un Regno d’Italia unito. Fu sua l’idea di mandare a Teano, ad aspettare le camicie rosse, Vittorio Emanuele II. Un momento storico, ripreso in tante illustrazioni pittoriche.
Da quella intuizione ebbe avvio la storia contemporanea del nostro Paese. L’unità è poi stata maturata con sacrificio, intelligenza e visione.

I Paesi non si costruiscono solo tracciando confini territoriali. Il Paese è fatto di tradizione, cultura e identità. Sono queste le cose che racchiude ogni bandiera.
La tensione al multiculturalismo, per come vissuta oggi, non sta portando ai risultati desiderati. Continuiamo a non sentirci fratelli se non abbiamo la stessa nazionalità.
In questo momento di follia globale, tra guerre e separazioni, non ci sono solo Gaza e Ucraina. Sono tante le battaglie in corso, in Siria, nell’Africa centrale. Battaglie delle quali sentiamo poco, ma altrettanto terribili.
Una follia che sembra non avere fine nonostante i tanti momenti di confronto. Le Nazioni unite si riuniscono continuamente. G7, G8, G9. Tanta voglia di parlarsi, ma, quando poi si tratta di dettare l’agenda della pace, nulla di fatto.
Su questo bisogna riflettere.
Se i leader non riescono a trovare una soluzione, vuol dire che a non aver fatto la scelta giusta è il popolo.

Oggi, come ieri, occorre scegliere con attenzione, prestando cura all’aspetto culturale e della visione, alla capacità di parlare senza offendere, all’umiltà del fare.
Si è davvero leader quando si sa essere esempio. E soprattutto quando si sa che la scelta giusta è sempre quella del gruppo.



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