L’aspettativa del miglior finale

L’aspettativa del miglior finale

In questi giorni abbiamo riflettuto molto sulle opere di Papa Francesco, sui suoi ultimi attimi, che ha vissuto in coerenza con la missione di una vita, ossia avvicinare i meno fortunati ai più potenti. Due giorni prima di morire ha partecipato al rito del lavaggio dei piedi con un gruppo di detenuti e ha incontrato il vice Presidente degli Stati uniti.
Gesù ci ha insegnato che è importante stare tra con gli altri senza giudicare chi ci giudica, senza esaltare e condannare chi prima ci esalta e poi di deride.

Tutto questo mi ha fatto pensare a Weber, al calvinismo e allo status naturae dell’homo oeconomicus.
Secondo Weber, non vi è mai stata una forma più alta di valutazione religiosa dell’agire moralmente di quella che il calvinismo promosse tra i suoi seguaci. Il calvinista non aveva nella propria indole il conforto o le indulgenze. A differenza del cattolico, non poteva compensare i momenti di debolezza con altri successivi di più intenso impegno. Il calvinista si abbandonava all’ozio, al peccato quotidiano, peccato inteso non in senso morale o etico, ma come egoismo. La sua propria vita al centro di tutto. Nessuna attenzione per gli altri. Nessun impegno per migliorare il contesto. L’esistenza che si consuma senza possibilità di lasciare traccia, senza il magnetismo che dell’Umanesimo.
Nella parola di San Paolo, chi non lavora non dovrebbe neppure mangiare, perché il lavoro è attività diretta a rendere migliore la vita di tutti, non soltanto la propria. Dedicarsi agli altri significa uscire dalla veste, diceva Max Weber, del razionalismo ascetico. Weber vedeva nella conquista della ricchezza come frutto del lavoro professionale anche la benedizione di Dio. Per dire che il singolo deve sempre pensare anche agli altri.

Oggi oziare piace molto a tutti. La raccomandazione per raggiungere posti di lavoro che consentono di guadagnare bene è una pratica diffusa. Amiamo girare il mondo, noncuranti del fatto che il mondo è in balia di disastri ambientali, crisi climatica, desertificazione. Lo amiamo, eppure non ci facciamo scrupoli a deturparlo.
A questo ha portato la brama di successo individuale, la voglia di arricchirsi soltanto.

Ci si agita attorno a questa follia. Ma poi eventi come la morte del pontefice costringono alla riflessione e a capire che la cosa più importante dovrebbe essere l’attesa del migliore finale.
È proprio quell’aspettativa a rendere ogni film interessante. Il finale rende tutta la storia più affascinante.

Se ognuno di noi facesse questo ragionamento, la prospettiva complessiva cambierebbe molto. Darsi a beneficio degli altri porta beneficio anche a sé. Significa migliorare la propria capacità di relazione, superare sentimenti come invidia e gelosia. Chiunque abbia lasciato una traccia nella Storia ha voluto insegnare che le scorciatoie non servono per il successo; l’unica strada è quella del sacrificio. Non si tratta soltanto di studiare, di seguire questo o quel corso di perfezionamento, di fare questo o quel concorso. Si tratta soprattutto di lavorare su se stessi, e questa è la parte più difficile.
La vita non dovrebbe essere scandita da obiettivi di guadagno. Dovremmo essere più ambiziosi, puntare più in alto.

Nel corso di questa settimana, mi è capitato di studiare la storia del popolo dei kukama, uno dei più antichi del Perù. Gente che viveva a tremila metri di altezza, nei pressi della foresta Amazzonica, ma che, ciò nonostante, era riuscita a dotarsi di una organizzazione sociale massimamente efficiente. Tra le costruzioni, tutte circolari, ne spiccava sempre una, più grande delle altre. Era la loro chiesa. Il sacerdote che la abitava curava la spiritualità e ricercava il collegamento con l’aldilà. Una tendenza che quindi affonda le proprie radici nella notte dei tempi.

Meritocrazia ambisce a migliorare ogni contesto, per non essere calvinista.
Orgogliosamente ci proponiamo di coinvolgere tutti in questa missione, perché così potremo dare concretezza al desiderio di creare umanità, socialità ed equità.
Diversamente, sarebbe come guardare un film senza il gusto dell’aspettativa del più bel finale.



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