L’era del disimpegno
Mi è capitato di vedere al cinema, in questi giorni, un film che ha fatto molto discutere, ‘La vita va così’.
Non è una storia scontata, affatto. Nella trama incrocia i risvolti del capitalismo, gli elementi essenziali dell’umanesimo, l’ipocrisia nella battaglia per la tutela dell’ambiente, delle fragilità sociali, del lavoro. Tutto questo filtrato nei percorsi personali di personaggi umili che si muovono negli scenari pittoreschi dell’isola sarda. Il protagonista riesce a trasmettere tutto l’amore per la propria terra, per le proprie radici, resistendo a tentazioni che lo distrarrebbero dalla missione di salvare il proprio angolo di paradiso.
È un fatto che oggi le malìe del capitalismo finiscano per irretire tutti. Il guadagno facile piace a chiunque.
Il film mi ha ricordato racconti epici come l’Eneide o l’Odissea, che però narravano dell’eroismo di singoli, di rara qualità, che da soli portavano a grandi conquiste, personali e collettive, in termini di libertà.
Dimostra anche che la giustizia, che ci attendiamo ma che spesso avvertiamo come negata, in realtà rientra nella nostra responsabilità ed è fatta di attenzione, scrupolo, onestà e rigore.
Insomma, ne ho tratto, una volta di più, l’importanza della diffusione di una mentalità nuova, che consenta di fare un salto di qualità, di mantenere costanza nell’impegno. Purtroppo capita spesso di assistere ad abbandoni dovuti ad ambizioni personali e individualismi. Si svendono convinzioni e ideali davvero per poco. E per poco si vanificano anni di sacrificio.
Il nostro progetto richiede affidabilità e collaborazione reciproca, e non ammette pause e silenzi. Servono sempre forze nuove ma è essenziale anche il contributo di chi ha maturato esperienza.
‘Tribe of Europa’, una serie tv tedesca di recente lancio, è ambientata nell’Europa del 2074, uno scenario post-apocalittico fatto di tribù in conflitto, a seguito di una catastrofe globale avvenuta del 2029.
Fa paura. Perché il rischio è altissimo. Se perdiamo la capacità di integrarci, perdiamo la capacità di essere comunità. Questo vale per i piccoli gruppi, ma anche per le grandi aggregazioni sociali, per il Paese intero. Se le persone che seguono il flusso ed entrano in Italia non si integrano, restano entità distinte e isolate, con bisogni propri ed esigenze diverse.
Non saremo mai in grado di perseguire davvero la pace se resteremo tribù. Non ci sarà mai vera libertà. Mai vera democrazia.
Né ci si può stupire dell’esplosione di tanti conflitti se si agevolano divisioni sociali e ghettizzazioni.
Non è un caso che per evitare contrasti nasca un’organizzazione come le Nazioni Unite.
Allora oggi dobbiamo chiederci dove abbiamo fallito. Dove ha fallito la democrazia.
Forse si racchiude tutto in questa nostra tensione a voler modificare la realtà esterna senza mai assumere il coraggio di intervenire sui nostri limiti, senza provare mai a cambiare il proprio io, dall’interno.
Vogliamo vivere la migliore delle vite possibili, ma senza crescere, anzi regredendo sempre un po’. Facendo passi indietro a livello emotivo, e personale.
L’approccio di Meritocrazia è diverso. Vogliamo, tutti, farci portatori di idee nuove, e, così, nel migliorare il mondo esterno, miglioriamo anche noi stessi.
Un modo, il nostro, per dare un contributo alla (ri)costruzione della vera democrazia, e per sentirci un po’ più liberi.
Lo stiamo facendo con passione, con dedizione, con costanza. E non per raccattare qualche voto in una qualche tornata elettorale, ma per spingere la politica verso un fare etico che sembra ormai dismesso da tempo, per fare comunità, contro la frammentazione in tribù, e per spingere, lentamente ma inesorabilmente, verso l’affermazione del merito.
Lo hanno affermato in tanti nel corso del nostro Congresso nazionale, che non ci sarà mai prospettiva di crescita per il Paese senza merito. Mai, senza merito, arriveranno i tanto attesi tempi migliori.
