L’era della banalità
La natura insegna molto su come si gestiscono le crisi e in che modo avvengono le rinascite.
Invece di prendere esempio e imparare, l’uomo opta oggi per la banalizzazione dell’esistenza, in ogni ambito.
In pochissimi ricordano che, quando c’è stato il blocco finanziario a margine dell’evento pandemico, il supporto concesso dall’Europa, con i famosi PNRR, tenne conto, per l’Italia, di un fattore diverso rispetto a tutti quelli considerati per gli altri Stati. Il nostro Paese faceva i conti, cosa non nuova, con il profondo divario economico tra aree meridionali e aree settentrionali. La distanza tra nord e sud si faceva sentire forte, e doveva essere colmata mediante il potenziamento dei servizi dove era più necessario.
Ma i fondi sono utili se li si sa spendere. Serve un programma ben pensato.
Andando al supermercato senza le idee chiare su cosa si voglia acquistare, si rischia di spendere tanto per cose che si hanno già e di dimenticarne altre che sarebbero più utili.
La politica italiana è fallimentare soprattutto in questo.
L’Europa affidò le risorse all’Italia non soltanto per la transizione ecologica e digitale, ma anche per la ‘coesione territoriale’. L’idea era, tra l’altro, aprire a valorizzazione dei borghi e rilancio delle politiche agricole.
Purtroppo, però, dobbiamo fare i conti con il fatto che la politica è solo clientelismo.
Da tanto gli eletti non raggiungono risultati davvero meritevoli di memoria. Ci si candida con disinvoltura, senza piena coscienza dell’impegno che richiede. Si parla di ‘campo largo’ e ‘campo stretto’, si pensa a strategie per la miglior riuscita, ma non c’è mai una linea programmatica di visione.
Nelle regioni del sud sarebbe molto utile ragionare insieme su problemi comuni. Campania, Puglia, Calabria vivono situazioni di disagio che non si esauriscono nei confini territoriali. Rete ferroviaria, rete idrica, ad esempio, sono integrate. Per larga parte la Puglia condivide le risorse idriche dalla Campania.
Invece ognuno pensa al suo. E alla fine la spunta. Perché il voto non ha troppo di meritocratico, non è rivolto alla persona che si ritiene più competente, ma è sempre legato alla speranza di poter ottenere qualcosa in cambio.
Pure nell’era glaciale la natura ha saputo conservare la vita, e crearne di nuova. E ancora oggi ne traiamo beneficio.
Nell’era della banalità, invece, si perde interesse per tutto. La politica si dimentica dei cittadini. E i cittadini non vanno neppure a votare.
Serve ora una forza propulsiva che si faccia sentire soprattutto sui territori. Per mostrare che un modo di fare politica diverso da quello che viviamo esiste davvero, è possibile.
Mi piacerebbe che i coordinatori territoriali di Meritocrazia si mettessero ancora di più in gioco e mettessero più spesso a disposizione della politica locale le idee del gruppo, dialogando anche sui programmi elettorali.
La politica, si sa, è fantasia. Dobbiamo sforzarci allora di immaginare quale contributo ciascuno di noi possa dare per migliorare la propria città o la propria regione.
Meritocrazia Italia è molto seguita dalle Istituzioni centrali. Possiamo essere di grande utilità anche per le attività locali.
Non si è mai troppo generosi quando si sceglie di condividere i propri sacrifici, il proprio impegno. Anzi, è proprio questo il senso del nostro lavoro.
È così che vogliamo fare la differenza.
