Non c’è leader senza squadra
Negli anni Cinquanta, un illuminato imprenditore portò la sua azienda di macchine da scrivere ai vertici mondiali. Adriano Olivetti riuscì a sviluppare un modello di lavoro rilassato e sereno in un contesto che motivava le risorse umane tramite la loro valorizzazione sociale, senza voler trasformare le persone in automi o imprigionarle in stereotipi, ma considerando tutte le loro peculiarità come valore aggiunto al progetto aziendale complessivo. Visione audace, capacità, coraggio, competenza, cultura, senso della comunità, ideali autentici e soprattutto, l’essere Umano al Centro: queste le doti di un grande leader riconosciuto in tutto il mondo.
Siamo alla vigilia del sesto Congresso Nazionale di Meritocrazia Italia ed è impossibile comprendere e valutare le origini di questa storia, la nascita di un Logo, la crescita di una Squadra e i passi avanti di un percorso senza fermarsi a riflettere anche sulla responsabilità di chi ha scelto di partire e portare avanti tutto questo.
Ma chi è il leader?
Il termine ‘leader’ deriva dal verbo inglese “to lead” che significa “condurre, guidare”. Il leader è dunque colui che ha le capacità di assumere un ruolo di guida all’interno di un gruppo di persone e di dirigerle verso il conseguimento di un determinato obiettivo. Non è certo un ruolo per tutti, né da tutti.
Fra filosofia, psicologia, modelli storici e stereotipi del momento, non è facile comprendere fino in fondo cosa significhi essere un leader, se non facendo diretta esperienza del ruolo o entrando in rapporto vero e concreto con chi quel ruolo ricopre ogni giorno, vestendone la maglia, nel bene e nel male, con onori e oneri, fra momenti di successo e di sconfitta.
Ed allora come non pensare a tutta la fatica di questi anni per costruire, proporre e portare avanti un progetto che nasce da un approccio differente di osservazione del reale e che cerca, nell’esempio quotidiano, di applicare un metodo di valutazione ed azione dove il Prodotto Interno Umano sia la priorità e il centro di interesse. Centinaia di comunicati, di elaborati di approfondimento sui temi del quotidiano, di proposte di legge e di linee guida; momenti di riflessione collettiva, aperti ad ogni dialogo e confronto con Istituzioni, associazioni, docenti, professionisti di ogni settore; direzioni nazionali in tutta Italia; congressi nazionali di crescente interesse e partecipazione trasversale, ma anche e soprattutto analisi e discussione continua all’interno di una squadra, organizzata per dipartimenti e territori, passando per segreterie tematiche e staff, una squadra composta di persone di ogni parte del Paese, con vissuto, esperienza, formazione e sensibilità le più diverse, unite fra loro dal principio per cui “Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica” e dalla convinzione che, per farlo, si passi attraverso la valorizzazione del merito e dell’impegno sociale che sappia porsi a beneficio di tutti e non contro qualcuno.
Nulla di tutto questo sarebbe stato possibile senza una guida, ma essere leader è davvero complicato. Bisogna essere capaci di supportare, motivare e valorizzare ogni membro del team, ispirare gli altri, saper delegare trasformando la passione individuale in missione condivisa, mantenere fermezza e determinazione. Serve guadagnarsi credibilità e rispetto con l’esempio, fissare obiettivi sempre più alti, sfidandosi costantemente per raggiungere traguardi maggiori, festeggiandoli come conquista di tutta una squadra. Serve sincerità, coerenza, integrità.
Ma occorre anche l’abilità di prendere decisioni difficili e veloci, anche quando le informazioni a disposizione sono limitate. E l’umiltà, unita alla capacità di dire cose durissime e difficili da sopportare, trasformandole in energia e monito a fare meglio.
Cinque anni fa moriva Sergio Marchionne. La sua avventura iniziò nel 2004, come ceo di Fiat, sull’orlo del fallimento, a pochi giorni dalla morte di Umberto Agnelli. La rottura dell’alleanza con General Motors, l’accordo con le banche, l’utile raggiunto dal gruppo dopo cinque anni, la quotazione in borsa di Ferrari e CNH. Un cammino di duro lavoro, ed anche di momenti di impopolarità e di contestazione, che un uomo ha percorso partendo dal concetto di squadra.
Impossibile confinare il suo pensiero in poche parole, ma non si può non ricordarlo quando affermava che «La leadership non è anarchia. In una grande azienda chi comanda è solo. La collective guilt, la responsabilità condivisa, non esiste». Ed ancora, che «Le organizzazioni, in sintesi, non sono null’altro che l’insieme della volontà collettiva e delle aspirazioni delle persone coinvolte». Ed ancora, che «Il carisma non è tutto», e che va sempre raccomandato alla propria squadra «di non seguire linee prevedibili, perché al traguardo della prevedibilità arriveranno prevedibilmente anche i concorrenti. E magari arriveranno prima di noi».
Il leader non è una persona perfetta: emozioni, coraggio, paure e vergogna sono situazioni che anche il più tenace deve affrontare ogni momento.
Per tutto questo, senza alcuna censura dei momenti di incomprensione, di sconforto, di debolezza, di errore, di discussione e di mancata condivisione, è evidente che non si può che ringraziare chi sceglie la missione di essere leader, che richiede davvero, soprattutto, coraggio e determinazione.
Ed altrettanto coraggio e determinazione occorre a quelli che lo riconoscono e scelgono di alzarsi in piedi dopo di lui e di seguirlo, dando voce e carne a quella leadership, per cercare di cambiare direzione e fare qualcosa di differente, riconoscendo come propria quella prima intuizione, pur senza il bisogno di assumerne la paternità.