
Nulla di troppo
«Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza».
Con queste parole Dante affida a Ulisse il desiderio più profondo dell’uomo, quello di andare oltre, non accontentarsi. Ma nell’Inferno Ulisse non è più l’eroe del ritorno a Itaca, bensì il viaggiatore inquieto che sfida i limiti e trova la rovina. La sua sete di conoscenza, senza misura, si trasforma in naufragio e diventa monito: la libertà senza limite è un inganno.
Le nostre navi non sono dirette verso le Colonne d’Ercole, ma con altrettanta cecità inseguiamo un’idea di progresso che ci fa credere di non avere alcun limite. Abbiamo provato a sovvertire i ritmi della natura per produrre sempre di più e sempre più in fretta spremiamo la terra fino a sfinirla e, mentre il suolo perde vita e le stagioni non hanno più respiro, i frutti perdono il loro sapore originario.
Ossessionati dall’idea di oltrepassare ogni limite, piuttosto che dalla ricerca di equilibrio, oggi raccogliamo i frutti avvelenati di quella presunzione, con ondate di calore, incendi, o alluvioni sempre più devastanti.
La stessa logica del “senza limiti” contagia la politica internazionale, dove i conflitti e la corsa agli armamenti cancellano il limite che dovrebbe proteggere la vita, trascinando intere popolazioni nella distruzione. E davanti a tutto questo, i cittadini restano ai margini, testimoni silenziosi di scelte che sembrano troppo grandi per essere cambiate, eppure destinate a ricadere sulle loro vite.
Sull’architrave all’ingresso del tempio di Apollo a Delfi era inciso “meden agan”, ossia, “nulla di troppo”, un monito che i Greci ci hanno consegnato come eredità. È la memoria di una verità antica, perché, senza misura, la libertà diventa inganno e si trasforma in hybris, cioè l’arroganza di oltrepassare i confini posti dalla natura e dagli dèi.
Simone Weil, filosofa francese del Novecento, scrive «Il limite, per i Greci, non era una catena ma una forma di equilibrio. Solo chi conosce il limite», aggiunge, «può abitare la libertà senza trasformarla in tirannia».
Del resto Icaro con le ali di cera costruite dal padre, osò sollevarsi più in alto di chiunque, ma abbagliato dal sole dimenticò la misura, e la sua audacia si trasformò in rovina, le ali si sciolsero, il corpo precipitò nell’abisso, lasciando al mondo l’immagine eterna di un sogno infranto.
Oggi Icaro non plana sull’Egeo, ma vive nei flussi migratori che attraversano il Mediterraneo. Uomini e donne spinti da speranze legittime, che troppo spesso si infrangono contro un’accoglienza senza misura, senza regole certe, né tutele vere. Così il limite non diventa custodia ma abbandono, e chi fugge dalla miseria rischia di ritrovarsi in condizioni disumane, facile preda di sfruttamento e di criminalità. Nel frattempo le nostre città diventano più insicure, mentre manca una visione capace di coniugare accoglienza e responsabilità.
Icaro si specchia nelle disuguaglianze che segnano la società, una povertà crescente, servizi essenziali che mancano, ricchezze che si concentrano in poche mani,…
Ma il vuoto non è solo della politica. Troppo spesso i cittadini rinunciano a vigilare sulla gestione della cosa pubblica, e senza questa attenzione le leggi restano proclami e la politica parole vuote.
Aldo Moro ammoniva che la democrazia non vive di automatismi istituzionali, ma si regge sulla partecipazione responsabile di ciascuno. «La democrazia si costruisce ogni giorno», scriveva, «e richiede sacrificio, richiede responsabilità, richiede impegno». Senza questo limite all’indifferenza, la libertà si riduce a semplice illusione.
Dal VI secolo a.C., nel cuore del mondo greco, fino ad oggi, la lezione, quindi, resta la stessa, senza il limite l’ascesa diventa caduta, il limite all’indifferenza, alla passività, alla tentazione di delegare tutto ad altri come se non ci riguardasse. E questa perdita del senso del limite pesa ancor di più nella scuola, che dovrebbe essere la palestra della misura e della responsabilità, e invece troppe volte cede alla smania del “senza limiti”, dimenticando l’essenziale.
Basterebbe aprire certi documenti programmatici: centinaia di pagine fitte di parole come vision, leadership, digital immersive classroom.
Un linguaggio che sembra pensato per un consiglio di amministrazione più che per un’aula scolastica.
Dietro queste parole luccicanti, però, resta un dato amaro: secondo Save the Children, oltre la metà dei quindicenni italiani non sa interpretare un testo complesso.
L’Istat abbassa un po’ la percentuale, ma non cambia la sostanza: troppi ragazzi non hanno confidenza con la lettura, troppi non hanno mai stretto tra le mani un libro.
E allora a cosa serve riempire le scuole di carteggi infiniti e di progetti altisonanti, se poi mancano i laboratori, aule sicure o attrezzature di base?
Per le necessità essenziali ci si affida ancora alla generosità dei genitori. È come se il superfluo fosse garantito e l’essenziale trascurato.
Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti, avvertiva che la scuola è “un organo costituzionale”, la vera difesa della democrazia. Se la scuola non offre strumenti di pensiero critico, se non insegna a distinguere verità e menzogna, allora la libertà perde sostanza. Anche qui si misura il senso del limite tra promesse e doveri concreti.
E se oggi parliamo di limite non è certo per restringere la vita, ma per restituirle respiro. È il limite che rende possibili la giustizia e la libertà, che dà forza al dovere e dignità ai diritti. La buona politica nasce dal coraggio di prendersi cura, di farsi carico, di mettere confini agli interessi privati quando calpestano il bene comune. La politica che serve non è quella che promette tutto a tutti, ma quella che sa dire dei no per proteggere la vita, la dignità, la libertà di ciascuno.
Meritocrazia Italia non vuole essere la terra delle rivendicazioni infinite, ma il luogo in cui si ricorda che ogni diritto trova la sua forza solo se radicato nei doveri. È nella responsabilità assunta da ciascuno che la giustizia diventa concreta e che la libertà smette di essere parola astratta per tradursi in vita reale.
E proprio da questa responsabilità nasce il nostro Congresso, che non sarà una vetrina patinata, ma un cantiere di idee, un momento per trasformare in proposta politica ciò che altrove resta solo denuncia. Sarà il tempo in cui dimostrare che la misura e il limite non sono ostacoli, ma la via per costruire un Paese più giusto, e che il cambiamento reale comincia quando l’impegno di pochi diventa l’impegno di tutti.