
Oltre il rumore, la scelta
Ognuno di noi ha davanti a sé una pagina bianca ed è su quella pagina che scriviamo ogni giorno chi siamo e chi vogliamo diventare.
Poi ci sono immagini che ti restano dentro e che ti aiutano a trovare le parole, come quella che apre il film “La ladra di libri”, in cui una bambina protegge le parole da un mondo che brucia. Siamo nella Germania nazista, in piena Seconda Guerra Mondiale e mentre intorno, la guerra distrugge case, idee e speranze, lei ruba libri per salvarli e per salvarsi.
Non è una storia qualunque, è un inno silenzioso al valore della conoscenza, della memoria e del pensiero libero.
Oggi i libri non vengono più bruciati nelle piazze, ma le idee continuano a essere soffocate ogni giorno dal rumore assordante delle informazioni usa e getta e dalla proliferazione incontrollata di fake news.
Ogni giorno un sistema di calcolo, prompt, dataset e sequenze computazionali di istruzioni decide per noi cosa è rilevante. L’algoritmo seleziona, ordina, mostra o nasconde contenuti, filtrando ciò che leggiamo e vediamo. Certo, non c’è censura, non potrebbe esserci in un Paese democratico, semplicemente, ci viene mostrato ciò che il Dio algoritmo decide che valga la pena vedere. Niente fiamme, insomma, solo un controllo invisibile e silenzioso.
E così può accadere che una modella mai esistita campeggi sulla copertina di un noto settimanale nazionale. Lineamenti perfetti, pelle luminosa, sguardo magnetico, peccato che sia un’immagine generata interamente dall’intelligenza artificiale. Nessun volto reale, nessuna storia alle spalle.
Questo è il segno evidente di quanto il confine tra vero e finto si stia assottigliando e mentre ci abituiamo all’illusione della perfezione, rischiamo di perdere il contatto con la realtà. La cultura diventa un bene secondario, la profondità un ostacolo alla velocità e ciò che non produce like, non esiste.
Siamo entrati in una fase nuova della storia, quella in cui il potere non è più solo militare o politico, ma digitale, finanziario, informativo, in cui i grandi colossi del web – le piattaforme che abitiamo ogni giorno – raccolgono dati, orientano scelte, spostano capitali e modellano opinioni, spesso eludendo i principi più basilari di equità economica.
Le sedi legali vengono scelte non in base alla responsabilità sociale, ma in base al risparmio fiscale. Il valore prodotto non ritorna ai territori che lo generano e a pagare il prezzo sono famiglie, imprese, lavoratori, soffocati da una fiscalità oppressiva e da regole che sembrano valere solo per alcuni, ma questa non è solo una questione economica, è una questione di giustizia, di democrazia sostanziale, perché non si può costruire un futuro equo se i poteri decisionali reali risiedono al di fuori dei meccanismi di rappresentanza, se pochi possono decidere per tutti senza alcun contrappeso.
E penso al caso FIAT – oggi Stellantis – che per decenni, ha ricevuto ingenti incentivi statali e ammortizzatori sociali, giustificati dalla promessa di occupazione e sviluppo. Tuttavia, mentre gli stabilimenti chiudevano e la produzione si spostava altrove, la società si trasformava in una multinazionale con sede legale nei Paesi Bassi e quella fiscale in Lussemburgo, lasciando i profitti agli azionisti e i costi alla collettività.
Credere di essere liberi mentre altri scelgono per noi è l’illusione più grande del nostro tempo.
E intanto accade che nuove forme di potere si impongano ogni giorno, con un volto rassicurante e digitale. Colossi globali che, senza apparente conflitto, governano l’accesso all’informazione, condizionano le nostre scelte, accumulano dati, ricchezze e influenza, ma restano fuori dalle logiche del contributo e della responsabilità. Operano ovunque, raggiungono miliardi di persone, generano ricavi enormi sfruttando i dati e i consumi dei cittadini. Eppure, pur traendo profitti dai mercati locali, pagano pochissime tasse nei Paesi in cui quel valore economico nasce. Non perché non possano, ma perché manca ancora il coraggio, o l’interesse, di imporre regole giuste.
Ed è proprio da questa ingiustizia tollerata che si allarga ogni giorno il divario tra chi ha tutto e chi fatica a vivere. Da un lato, milioni di persone che lottano ogni giorno per pagare una bolletta, un mutuo, un affitto. Dall’altro, sistemi che macinano miliardi, eludendo la fiscalità e muovendosi liberamente tra paradisi normativi e vuoti di sovranità. Eppure, paradossalmente, proprio a questi giganti affidiamo l’educazione dei nostri figli, l’accesso alla cultura, perfino la narrazione di ciò che accade nel mondo.
La verità è che non possiamo affidarci solo alle istituzioni o sperare che siano altri a risolvere le contraddizioni di un sistema sempre più ingiusto. La vera rivoluzione parte da ciascuno di noi. Serve una nuova alfabetizzazione, non solo digitale, ma etica e civica perché non basta saper usare uno strumento, bisogna capirne le implicazioni, riconoscerne i limiti, imparare a distinguere tra ciò che informa e ciò che manipola.
Essere cittadini oggi significa, allenare il pensiero critico, opporsi all’omologazione delle coscienze e per farlo, non serve accumulare lauree online o titoli come status sociale, serve invece studiare con impegno, con sacrificio, sapendo che non tutto ciò che è visibile è vero, che la bellezza non è perfezione artificiale, ma soprattutto che la conoscenza richiede tempo, fatica e confronto.
Occorre, allora, riscrivere le regole del gioco globale. Occorre un’Europa più forte, più consapevole del proprio ruolo e un’Italia che non si accontenti di restare ai margini, ma che sappia farsi protagonista di una nuova stagione di giustizia fiscale, responsabilità tecnologica e difesa dei beni comuni perché oggi, più che mai, il futuro si gioca sulla capacità di redistribuire ricchezza e potere, di investire nella scuola, nella ricerca, nella salute, invece di continuare a destinare risorse pubbliche a vantaggio di pochi, senza reali benefici per la collettività.
Se vogliamo davvero un’Europa capace di difendere i propri cittadini e un’Italia protagonista del cambiamento, dobbiamo avere il coraggio di pretendere regole giuste per tutti, superare le logiche dell’impunità globale e rimettere la giustizia fiscale al centro del dibattito politico. Un impegno che Meritocrazia ha già fatto proprio, rilanciando con forza la necessità di una web tax equa e un sistema fiscale capace di riequilibrare potere e responsabilità.
Nessuna Europa, però, sarà davvero forte e nessuna Italia davvero protagonista, se ciascuno di noi non sceglierà di esserci e questo vuol dire informarsi, partecipare, scegliere con consapevolezza, per restituire dignità alla politica e senso alla cittadinanza.
L’indifferenza, come scriveva Gramsci, è il peso morto della storia, perché l’indifferenza non è mai neutrale, non fa rumore, ma difende lo status quo meglio delle mura più alte.
La sfida più urgente per Meritocrazia, allora, è proprio quella di risvegliare le coscienze e restituire dignità alla partecipazione perché il cambiamento si costruisce con pazienza, con coraggio e con responsabilità.
C’è stato un tempo, non lontano, in cui un uomo pronunciò parole semplici ma capaci di attraversare i confini e le generazioni: “Questa è la nostra possibilità per rispondere alla chiamata -diceva- questo è il nostro momento.”
Quella chiamata risuona ancora, tocca a noi raccoglierla e rispondere allo stesso modo, “yes we can”.