
Passione
Tutti ci sentiamo dire che per fare politica occorre passione, molta passione, ma fatichiamo a cogliere le differenze con la passione richiesta per ogni altro atto umano.
È assodato che nessuno senza passione può fare alcunché a regola d’arte o destinato a lasciare il segno. Tuttavia la passione richiesta dalla politica appare a volte pretenziosa, eccessiva, frutto di distorsione ideologica. Invece no, non è affatto pretenziosa né tantomeno distorta. È semplicemente passione politica, diversa e su un livello incomparabilmente più elevato di qualsiasi altra passione.
A dirlo sono ben due leggi universali della politica, codificate da altrettanti illustri contributori dei secoli passati, uno dei quali è italiano.
Andiamo con ordine. Il primo di questi contributori è il tedesco Ferdinand Tönnies, sociologo-politologo vissuto a cavallo tra l’Otto e il Novecento, che elabora una teoria consacrata nel grande saggio Gemeinschaft und Gesellschaft (Comunità e società). Queste della comunità e della società vengono definite come le categorie pure del modo in cui si associano gli individui. Tönnies sostiene che nella Gemeinschaft (la comunità) prevale il sentimento, prevalgono gli istinti; mentre nell’altra forma, quella della Gesellschaft (la società), che deriva dalla somma dei nostri rapporti contrattuali, prevarrebbe la capacità di riflessione e la libertà di autocollocazione dell’individuo. Egli tenta di fare due elenchi di valori che sono rispettivamente propri della comunità e della società e che stanno in un certo senso contrapposti l’uno all’altro. Così gli sembra che nella comunità predomini la volontà essenziale, mentre nella società predomina la volontà arbitraria. La volontà dell’individuo nella comunità è sentita legata a tutto il contesto naturale, l’individuo si sente vincolato nelle sue volizioni al contesto in cui è inserito. Nella società invece vale una concezione arbitraria della volontà, l’individuo si sente arbitro di se stesso. Nella comunità prevale il senso dell’“io”, un “io” non arbitrario bensì flesso al “noi”. Nella società invece l’“io” si esterna e diventa il concetto di “persona”, definita da Tönnies come individuo che percepisce l’“io” degli altri.
Ricorda la frase “Per il Noi, oltre l’Io” che sta sullo sfondo di tutto quello che facciamo in Meritocrazia Italia. Non è mero slogan motivazionale. È principio scientifico, presupposto necessario alla concretizzazione di tutte le nostre finalità politiche – comunitarie, per dirla con Tönnies.
Nella comunità c’è la sensazione primitiva del possesso, un possesso istintivo e vincolato dalle dinamiche di gruppo. A ciò corrisponde nella società il concetto di patrimonio: oggettivazione anche qui della somma delle cose che si posseggono a vario titolo. Nel campo del diritto, nella comunità predomina il diritto familiare, nella società invece c’è il diritto delle obbligazioni, quello che si costruisce sulla possibilità di contrattare.
Il libro di Tönnies, con il suo contrapporre comunità a società, preparava la sostituzione del concetto di comunità col concetto di Stato e di forma politica. Ha un difetto: Tönnies andava alla ricerca delle aggregazioni, degli assetti formali in cui si dovevano tradurre le due forme di rapporto che aveva scoperto. Tendeva a pensare le convivenze umane o nella forma di comunità o nella forma di società. Questa era la conseguenza di un grosso pregiudizio che aveva attraversato tutto l’Ottocento: il pregiudizio del progresso, cioè il pregiudizio che la vita dell’uomo abbia un senso in quanto è un progredire verso un qualcosa di meglio. E così l’idea che la società, con la sua libertà di contrattare, fosse uno stadio evolutivo rispetto a quello di comunità, impedì a Tönnies di capire che in tutte le convivenze di tutti i tempi coesistono elementi passionali ed elementi razionali; di capire che Gemeinschaft e Gesellschaft si trovano in tutte le convivenze perché non sono aggregazioni ma tipi di rapporto, tipi di relazione, tanto pervasivi da finire compresenti nelle medesime fattispecie, pur non essendo riducibili l’uno nell’altro. Pensiamo ai partiti politici, che sono tutti organi di diritto privato.
Oppure, di contro, alla gerarchizzazione nelle aziende, che introduce elementi politici in ambienti dove si dovrebbe solo produrre. Sono quelle che i politologi chiamano “interferenze” del privato nel politico e del politico nel privato, ossia della società nella comunità e viceversa.
Il massimo, dalla politica come dal privato, lo si ottiene quando i due tipi di rapporto sono puri, cioè col minor grado di interferenza possibile.
Secondo Max Weber per esempio, se la burocrazia si accende di passione politica, riappropriandosi della connotazione comunitaria, si trasforma addirittura in una delle forme di legittimazione del potere, pensate, al pari di quella carismatica, ereditaria e legale – questa è una delle scoperte più recenti sugli appunti lasciati incompiuti dal grande economista a causa della sua morte prematura.
L’altro contributore è l’italiano Vilfredo Pareto, sociologo, contemporaneo di Tönnies, il quale scende ad analizzare la struttura dell’ideologia politica. Muove dalla distinzione tra azioni logiche e azioni non logiche. Secondo lui ogni azione verificabile dal punto di vista logico è sostenuta da una teoria logico-sperimentale. Le azioni non logiche sono invece quelle sostenute da teorie non logico-sperimentali. L’intuizione fondamentale di Pareto nel momento in cui concepisce la sua opera summa, il Trattato di Sociologia Generale, è la scoperta che la politica è il regno dell’irrazionale, e quindi non della logica.
Ma cosa s’intende per “regno dell’irrazionale”?
Le teorie non logico-sperimentali secondo Pareto si articolano in due strati, che corrispondono alla psiche di ogni individuo. C’è un primo strato più superficiale che è costituito da quelle che egli chiamò, con un termine piuttosto difficile a spiegarsi, “derivazioni”. Queste derivazioni sono tutte le argomentazioni apparentemente logiche con cui gli uomini tendono a giustificare e a dare un assetto razionale post factum alle loro azioni. Le derivazioni cercano di razionalizzare gli istinti, i sentimenti, ma sono soltanto la vernice di ciò che sta sotto più in profondità, ciò che Pareto chiama i “residui”, ed è su di loro che richiamo la vostra attenzione. I residui sono la parte più costante delle teorie non logico-sperimentali, qui si situano proprio gli istinti e i sentimenti di fondo che caratterizzano la psiche dell’individuo. Sono i residui che connotano secondo Pareto la forma dei sistemi politici, ed è la sommatoria o l’equilibrio diverso dei residui che, attraverso le maschere, cioè le derivazioni, segna l’evoluzione di questi sistemi.
I residui sono le cose più difficili da spiegare, perché le parole li sminuiscono.
Ognuno di noi ha una motivazione profonda – un residuo – che lo spinge a trovarsi qui in Meritocrazia. Per concretizzarlo non ha che un modo: accantonare l’Io ed esprimersi in funzione del Noi, della comunità. È questa passione, non altro, a permetterti di dar corpo alle derivazioni e di realizzare un progetto comunitario nel senso di Tönnies, politico nel senso di Pareto.
Meritocrazia non è un lavoro, è volontariato. Ma non lo sarebbe neppure se retribuito, perché è politica, e tra politica e lavoro, inteso nel senso contrattualistico del termine, passa un solco profondo quanto la differenza fra comunità e società.
«Quando entri in politica, è la politica che ti fa l’agenda, non più tu». Non è un’esagerazione, è proprio la realtà delle cose. È la comunità che pretende la primazia sugli egoismi della società.
Ecco cos’è la passione politica: la retrocessione dell’Io a beneficio del Noi. Uno sforzo decisamente non per tutti, che la politica fatta bene impone sopra ogni altra cosa. Ma c’è una ricompensa, piena e totale. Per noi, sarà vedere il mondo cambiare, sino a diventare come desideriamo che sia.