Ancora linciaggi mediatici: le nuove Linee guida non siano limitate in base al grado di visibilità dei post
È accaduto di nuovo.
Una vita spezzata dalla ricerca di consenso, da un utilizzo forse ingenuo o forse imprudente dei social. Ma soprattutto l’ennesimo suicidio legato ad un linciaggio mediatico.
I social media restano i paladini della libertà di espressione, affidando a chiunque la possibilità di mostrare il proprio pensiero o di assumere la identità più vicina alle proprie aspirazioni, ma si trasformano spesso in jungla selvaggia dove le parole davvero diventano letali frecce avvelenate.
Alle parole non si dà peso. Con leggerezza si danno giudizi, si condividono opinioni, si punta il dito, si distribuiscono torti e ragioni, si osanna e si condanna.
Non ci si accorge del terribile potere di superficiali affermazioni.
Post di influencer, personalità pubbliche, ma anche di ognuno di noi, possono essere il principio di bufere mediatiche travolgenti.
Il potere della distruzione inebria, la possibilità di colpire, apparentemente senza alcuna conseguenza, rende ciechi e pronti ad attaccare, ergendosi a giudici, giurati e boia di vite altrui, senza conoscere, senza comprendere, senza competenza. Sfoghiamo frustrazioni e rancori personali, vomitando odio su bersagli di comodo, spesso addirittura su quelle stesse persone che il giorno prima adulavamo.
Ogni carattere ha un peso specifico, ogni contenuto ha un impatto e il potere di influenzare richiede una responsabilità che va oltre il semplice cliccare su “pubblica”: si tratta di un impegno serio, di verità, empatia e, soprattutto, saggezza. Quella saggezza che dovrebbe rendere consapevoli delle possibili conseguenze delle proprie azioni.
Oggi l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni pubblica la delibera n. 7/24 contenente le linee guida volte a garantire il rispetto delle disposizioni del testo unico sui Servizi di Media audiovisivi da parte degli influencer.
Le linee guida, che si applicano agli influencer che abbiano almeno un milione di follower, impongono di non pubblicare contenuti che contengano istigazione o provocazione a commettere reati ovvero apologia degli stessi, garantendo il rispetto della dignità umana.
Fa sorridere che questo l’imposizione del divieto sia subordinato al raggiungimento di un certo grado di visibilità. Come se invece le stesse riprovevoli condotte fossero consentite a chi si rivolge a qualche centinaio di ‘amici’.
Meritocrazia Italia insiste da mesi per l’adozione di un testo unico per la regolazione della gestione delle piattaforme di condivisione social, che responsabilizzi in maniera adeguata anche professionisti della comunicazione e influencer, perché è arrivato il momento di dire basta a un mondo virtuale fatto di odio e violenza.
Quello che succede in rete non resta in rete. Dietro ogni profilo c’è una persona in carne e ossa, con emozioni, paure, sogni e diritti. Se lo dimentichiamo, finiamo per trasformare, come stiamo facendo, uno strumento di connessione in un’arma di distruzione.
Impariamo a riflettere prima di pubblicare, a pesare ogni parola, ogni immagine, ogni commento, scegliendo la critica costruttiva, eversivamente opponendoci a chi vuol solo distruggere.
Stop war.