INTERVENTI REGIONALI DI RICONVERSIONE DELLE ECCEDENZE ALIMENTARI
Per contrastare lo spreco alimentare, è necessaria l’implementazione di interventi mirati. Questo fenomeno è infatti sempre più diffuso a livello a globale, ma spesso non viene affrontato dovutamente a livello regionale e locale. Questo elaborato vuole analizzare la legge Gadda (sulle donazioni) e gli emendamenti della Legge di Bilancio 2018, con particolare focus sugli interventi di riconversione delle eccedenze alimentari.
Un antico proverbio indiano cita che «quando l’ultimo albero sarà abbattuto e l’ultimo fiume avvelenato e l’ultimo pesce pescato ci renderemo conto che non possiamo mangiare il denaro».
Lo spreco alimentare è un tema di principale rilevanza nel contesto moderno.
La FAO quantifica come perso o sprecato circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano, per un totale di circa 1,3 miliardi di tonnellate ogni anno. E questa è una piaga tanto dei paesi industrializzati, quanto di quelli in via di sviluppo, che si dividono questo increscioso dato quasi a pari merito.
Per prima cosa è necessario identificare una definizione di «spreco alimentare», poiché una diversa accezione può portare risultati discordanti, considerate le dirette conseguenze sulle sfere economica, sociale ed ambientale. La definizione più utilizzata è quella data dalla FAO in uno studio del 2011 commissionato allo Swedish Institute for Food and Biotechnology, nel quale si contrappongono i termini food loss e food waste, che poi nel 2013 sempre la FAO riaccorpa nell’unica definizione di food wastage. Con food loss ci si riferisce alla diminuzione nella quantità di cibo commestibile a seguito di operazioni che si svolgono nella parte di filiera preposta alla produzione di cibo; con food waste invece ci si riferisce allo spreco di cibo commestibile che si verifica al termine della filiera, ovvero nelle fasi di distribuzione e consumo finale.
Nel 2014, con il documento «Food Wastage footprint: full-cost accounting» la FAO si spinge oltre, cercando di quantificare anche gli impatti ambientali (emissioni di gas climalteranti, scarsità di acqua, erosione del suolo, rischi per la biodiversità) e sociali (aumento dei rischi di conflitto e della diminuzione dei mezzi di sostentamento, effetti sulla salute).
Ciò ha portato, nel 2016, al rilascio di due protocolli, uno a livello globale, l’altro europeo.
Il primo si intitola «Food Loss and Waste Accounting and Reporting Standard» (FLW Standard) su iniziativa del World Resources Institute; il secondo si inserisce nel progetto europeo FUSIONS, in sinergia con il FLW Standard, intitolato «Food waste quantification manual» (Segrè e Azzurro).
Il documento Agenda 2030, accordo internazionale che sancisce vari SDGs (Sustainable Development Goals), identifica come target (SDG 12.3) il dimezzamento dello spreco pro capite globale di rifiuti alimentari nella vendita al dettaglio e dei consumatori, oltre alla riduzione delle perdite di cibo lungo le filiere di produzione e fornitura (UN, 2015).
A livello italiano, il lavoro più completo sul tema è sicuramente il modello ASRW (Availability, Surplus, Recoverability, Waste) elaborato da ricercatori del Politecnico di Milano (Garrone, Melcini e Perego). Lo studio ha come focus l’eccedenza alimentare, intesa come componente commestibile che, per varie ragioni, non viene venduta o consumata. Tale eccedenza può, per la componente relativa all’alimentazione umana (c.d. spreco alimentare sociale), essere gestita tramite sconti, rilavorazioni, vendita a mercati secondari, donazioni a enti caritativi o food banks.
Secondo lo stesso studio, in Italia vengono prodotte circa 5,6 milioni di tonnellate di eccedenze alimentari ogni anno, pari al 16,8% dei consumi alimentari. Il 91,4% di questa eccedenza, pari a 5,1 milioni di tonnellate, è lo spreco in prospettiva sociale. Questo spreco corrisponde a € 12,6 miliardi (€ 210,00 a persona), provocando un’impronta del carbonio pari a 13 milioni di tonnellate di CO2 e 1,5 milioni di famiglie in povertà assoluta.
Altro studio di riferimento è quello dell’Università di Bologna, con il progetto REDUCE. Questo studio isola lo spreco delle famiglie (distinguendolo da quello della ristorazione e dei supermercati). Il dato in questo caso è di uno spreco per famiglia di 84,9Kg di cibo ogni anno, pari a 2,2 milioni di tonnellate, che ammontano ad un costo di € 8,5 miliardi (lo 0,6% del PIL).
Questi dati sono però relativi a studi del 2015, basati quindi su informazioni precedenti.
Con l’entrata in vigore della legge Gadda (2016), e con le modifiche dovute alla Legge di Bilancio 2018, la situazione in Italia inizia a cambiare.
La l. 19 agosto 2016, n. 166 (c.d. legge Gadda) fa leva sui principi fondamentali di sussidiarietà e solidarietà. L’intento incentivante della legge è chiaro: creare un quadro normativo unico per eliminare l’alibi della barriera normativa. Gli obiettivi principali sono:
– favorire recupero e donazione delle eccedenze alimentari;
– contribuire alla limitazione degli impatti negativi sull’ambiente e sulle risorse naturali;
– contribuire al raggiungimento degli obiettivi del Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti (PNPR) e del Piano Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare (PINPAS);
– contribuire ad attività di ricerca, informazione e sensibilizzazione dei consumatori e delle istituzioni.
Grande rilievo è dato inoltre al tema della promozione e della formazione nel campo della riduzione degli sprechi, con campagne ad hoc per sensibilizzare la popolazione. Delega inoltre al MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) la promozione presso le scuole. La legge amplia inoltre la definizione dei soggetti autorizzati ad effettuare distribuzioni gratuite, prevede la facoltà dei singoli Comuni di riconoscere benefici ai donatori riducendo la tassa sui rifiuti e mette in atto forti agevolazioni fiscali ed amministrative, poi integrate ulteriormente con la Legge di Bilancio 2018. Infatti, la cessione dei beni non genera un ricavo imponibile, ma resta la deducibilità dei costi sostenuti dalle imprese. Le cessioni gratuite di prodotti alimentari non idonei alla commercializzazione o in prossimità di scadenza sono assimilate alla distribuzione, godendo quindi della detrazione dell’IVA a monte, senza alcun obbligo documentale per cessioni dal valore inferiore a € 15.000,00.
Secondo ulteriori studi del POLIMI, le eccedenze alimentari sono altamente recuperabili al 6% e di media recuperabilità all’86%. Questi dati sono molto incoraggianti dal punto di vista delle politiche messe in atto per la riconversione di queste eccedenze. Qui si inserisce il rapporto finale della prima annualità, intitolato «L’Osservatorio sulle eccedenze, sui recuperi e sugli sprechi alimentari: Ricognizione delle misure in Italia e proposte di sviluppo» redatto da MIFAAPT (Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo) e di CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria) nel febbraio 2019.
Tale rapporto conclude come le famiglie ‘sprecanti’ siano il 77% (l’incidenza è minore su fasce d’età più alte e istruzione minore). A livello motivazionale gli italiani risultano attenti alla questione spreco, con il 76% degli intervistati d’accordo sul fatto che gettare via meno cibo contribuisca ad un mondo migliore, il 90% che lo considera sciocco ed il 92% che ritiene che lo spreco generi sensi di colpa. Lo studio identifica la necessità di un monitoraggio più accurato dello spreco alimentare domestico, in modo da produrre dati continuamente aggiornati che possano favorire politiche anti-spreco e di riconversione più efficaci.
Risulta esserci ampio spazio di miglioramento, con alcune regioni già più attive rispetto ad altre (Campania in primis). Stime demografiche prevedono una popolazione di 10 miliardi entro il 2050.
La lotta contro perdita e spreco alimentare è dunque di primaria importanza per garantire la sostenibilità del nostro pianeta. D’altronde, come ci ricordano gli indiani, «non possiamo mangiare il denaro».
Di FEDERICO MILANI
[Immagine da Pixabay]