LA DONNA IN CALABRIA

LA DONNA IN CALABRIA

La condizione della Donna in Calabria ha subito una significativa evoluzione.

Intorno ai primi del 900 solo in poche potevano permettersi di frequentare l’Università, non senza essere chiamate a pagare il prezzo di estenuanti battaglie familiari. La stragrande maggioranza non conseguiva la licenza elementare.

Oggi le donne calabresi avvocato non sono più relegate a materie, per quanto nobili, ritenute d’elezione (come il diritto di famiglia); da tempo hanno fatto il loro ingresso a pieno titolo nel diritto penale dei processi di ‘ndrangheta. Ricoprono ruoli come quello di segretario delle camere penali e Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, sempre con ottimi risultati nonostante le dubbiose aspettative.
Le donne magistrato, come le donne avvocato, hanno coniugato lavoro e famiglia, raggiungendo ruoli apicali e cimentandosi in materie e processi nei quali il loro essere donna ha costituito un valore aggiunto e non un detrimento.
Le giornaliste da parte loro, in una terra in cui la minaccia è molto sottile – celebre è il monito “statti ferma ccu sta pinna” (“stai ferma con questa penna”), rivolta da un politico a una giornalista che faceva il suo lavoro -, non si sono mai date per vinte, praticando il giornalismo d’inchiesta e di denuncia quando avrebbero più comodamente potuto dedicarsi alla cultura o allo sport.
Non è possibile neppure dimenticare i risultati ottenuti dalle imprenditrici agricole che operano forse in uno dei settori più difficili e che hanno dovuto combattere contro pregiudizi culturali e sfiducia: “femmine capello lungo e cervello corto”. Hanno mostrato svecchiando le aziende, puntando sulla qualità e conseguendo premi come ‘donne del vino’ e ‘donne dell’olio’.
Si aggiungono colf, badanti, raccoglitrici di olive, senza l’apporto prezioso delle quali alcuni settori sarebbero fermi.

La Calabria ha altresì quello che si può dire un unicum in campo femminile.
Natuzza Evolo, la mistica di Paravati, è stata un esempio e un simbolo non solo religioso ma anche di emancipazione della Donna in un mondo che va spesso oltre la facile comprensione. Persona semplice e poco istruita, perché, come molte del suo tempo, aveva dedicato la sua vita a figli e lavoro dei campi, con i doni che ha ricevuto ha toccato i cuori più duri, sanato malati, dispensato consigli, come umile strumento della volontà di Dio. Donna venerata, riverita, ossequiata  cercata in una terra in cui l’essere donna in quanto tale e il suo stesso lavoro venivano osteggiati e disprezzati.

Non si può non ricordare anche Maria Chindamo, imprenditrice agricola di Laureana di Borrello, e Lea Garofalo, madre che ha amato così tanto la propria figlia da denunciare i propri familiari per darle una vita diversa.



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