L’ascensore sociale in Italia ed equità nell’istruzione

L’ascensore sociale in Italia ed equità nell’istruzione

In Italia l’ascensore sociale si è fermato e a scuola le scale sono sempre più ripide per gli studenti economicamente più svantaggiati. Il divario socio-economico inizia dalla scuola ed è da qui che ogni governo ha il dovere di iniziare ad investire per poter fornire quell’equità sociale che porta al successo e al benessere scolastico e sociale di ogni singolo studente.

Negli anni Sessanta e Settanta si parlava di “ascensore sociale “ quando le nuove generazioni riuscivano a raggiungere uno stato sociale elevato rispetto a quello di provenienza grazie, principalmente, all’istruzione e formazione scolastica e poi universitaria. A definire il concetto di “ascensore sociale” è l’Enciclopedia Treccani, che lo descrive come “il processo che consente e agevola il cambiamento di stato sociale e l’integrazione tra i diversi strati che formano la società”.In altri termini, si consente ad un individuo di innalzare la propria condizione personale e sociale attraverso il lavoro, l’istruzione e la crescita economica di uno Stato.

Ma qual é in Italia la situazione attuale?

Molti studiosi ritengono che nel nostro Paese oramai l’ascensore sociale si sia definitivamente bloccato, in una situazione nella quale le generazioni passate conservano ” lo status” sociale ed economico acquisito, mentre le nuove (in particolare quelle nate negli anni Settanta e Ottanta) sono paralizzate e stentano a modificare e migliorare la propria condizione di partenza, in una sorta di conflitto generazionale tra “padri” e “figli”, tra privilegiati ed esclusi, in cui, per la prima volta dal Dopoguerra, i figli hanno meno risorse ed opportunità di lavoro dei loro genitori.

Tale situazione di stallo è dovuta essenzialmente alla presenza nel nostro paese di un’ istruzione “condizionata”, cioè non basata sulla libera e consapevole scelta del percorso scolastico da parte degli studenti, bensì assoggettata a fattori quali le condizioni economiche di partenza tali da favorire inevitabilmente gli studenti provenienti dai ceti sociali più abbienti a scapito di quelli più svantaggiati economicamente ma non per questo meno meritevoli.

Infatti, secondo l’ultimo rapporto annuale dell’ OCSE, denominato “Education at glance” – che ha messo a confronto i sistemi di istruzione scolastica in 35 Paesi membri – la peculiarità del nostro Paese é che l’origine sociale incide significativamente sui tempi e gli esiti del percorso scolastico, sulla scelta della scuola da frequentare, sulle competenze acquisite, e da quasi 20 anni il divario tra studenti svantaggiati e coetanei più fortunati resta invariato. Disparità di origine sociale che si riflettono sul benessere generale, sul senso di appartenenza, sull’inclusione sociale: un «gap» che proprio la scuola dovrebbe colmare.

E, infatti, la scuola rappresenta probabilmente lo strumento più efficace per favorire la mobilità sociale e consentire a chi nasce in una famiglia economicamente svantaggiata di accedere in condizioni di parità con gli studenti più abbienti ad una istruzione di qualità che, esaltando al meglio le attitudini di ciascuno studente, favorisca un rapido inserimento nel mercato del lavoro e, con esso, la selezione in ogni campo di una avanzata classe dirigente che funga da traino della crescita del paese.

Spesso la scelta della scuola superiore- come anche del corso di laurea- è condizionata dal grado di scolarità e dalla professione dei genitori, e già questo dimostra l’assenza di una reale mobilità sociale, come se la selezione del percorso scolastico e lavorativo sia quasi una sorta di passaggio ereditario che si tramanda di padre in figlio. Tale meccanismo determina, in effetti, una “rigida segmentazione e differenziazione della popolazione studentesca” (ad esempio tra licei e scuole professionali) fortemente correlata con le classi sociali di provenienza che riproduce l’assetto elitario e per censo della nostra società, dove a molte carriere professionali e ruoli direttivi, in ambito pubblico e privato, si accede per cooptazione e non per merito.

Se si vuole invertire questa situazione di paralisi che vede l’Italia a livello internazionale come il fanalino di coda, occorre quantomeno raddoppiare la quota di investimenti pubblici nell’istruzione scolastica e universitaria , a partire – è bene precisare – da un potenziamento dell’insegnamento nella scuola primaria delle discipline tecniche e scientifiche, visto che come tutti gli studi confermano una delle cause del divario culturale del nostro Paese rispetto agli altri partner é proprio l’insufficiente scolarizzazione dei nostri studenti nel campo delle discipline scientifiche.

L’art. 34, commi 3 e 4, cost. stabilisce testualmente: gli studenti “capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alla famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

Questo é un altro punto dolente del nostro sistema scolastico, ossia l’insufficienza delle risorse economiche stanziate dallo Stato per assicurare l’effettività del diritto allo studio a prescindere dalle condizioni economiche di partenza. Sicché, ad esempio, non appare peregrino immaginare che, al termine della terza media – vero momento cruciale per la scelta del successivo percorso scolastico – siano previste adeguate borse di studio che accompagnino gli studenti meritevoli ma privi di mezzi durante il percorso delle scuole superiori. Ciò per far si che i nostri ragazzi vedano riconosciuti i loro talenti e la selezione scolastica avvenga su base rigorosamente meritocratica, come purtroppo oggi non sempre avviene. Infine, per concludere, mi sia consentita una citazione di una frase di un grande Maestro che con il suo pensiero ed operato avveniristico, nell’Italia conformista degli anni Sessanta ha per primo denunciato le storture di un sistema scolastico che distingueva gli studenti unicamente in base al censo relegando i figli dei poveri nei gradini più bassi: Don Lorenzo Milani l’eroico prete di Barbiana che in una” lettera ad una professoressa “ edita nel 1967 così scriveva: “Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”.

Ecco questa dovrebbe essere la sfida di un’ avveduta classe politica che, rifuggendo dalle banali semplificazioni del linguaggio dei social si renda effettivamente conto che il dramma del nostro Paese é proprio questo, e cioè che, ad un’apparente, quanto vana, uguaglianza formale (art. 3, comma 1, Cost.) tra tutti i cittadini nell’accesso all’istruzione e, in genere, ai diritti pubblici, non corrisponda una reale uguaglianza sostanziale (art. 3, comma 2, Cost), la quale può realizzarsi unicamente grazie all’intervento riequilibratore delle Istituzioni Pubbliche che, rimuovendo i pesanti ostacoli che impediscono la piena emancipazione dei propri giovani consenta loro di avere un’ istruzione adeguata alle loro capacità e funzionale ad un rapido inserimento nel mondo del lavoro.

Dunque questa potrebbe essere la sfida dei prossimi anni per sbloccare l’ascensore sociale e far ripartire il nostro Paese: portare avanti non solo quelli che sono nati indietro, ma anche quelli che, per un sistema basato non sul merito ma su logiche familiaristiche o di tutela di interessi corporativi, sono costretti a rinunciare alle loro aspettative di lavoro ed a far emergere in pieno tutte le loro potenzialità.

Di ANNA CHIARA CASILLO



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