MI: più che settimana lavorativa corta, orari flessibili e valorizzazione della produttività

MI: più che settimana lavorativa corta, orari flessibili e valorizzazione della produttività

Ciclicamente torna a discutersi delle possibili utilità della settimana lavorativa corta o cortissima. Una questione da sempre divisiva.

Il problema andrebbe affrontato, però, non più per slogan (campeggia tra tutti, ‘lavoriamo meno, lavoriamo tutti’), ma nel verso di verificare i benefici effettivi dello strumento in termini produttivi e di benessere della persona.
Per questo, più che parlare di settimana corta, bisognerebbe parlare di orari flessibili e di valorizzazione della produttività.

L’Italia è l’ottava potenza al mondo, ha un indice produttivo pro capite inferiore a quello della Svezia, ad esempio, e tra i più bassi in Europa.
Quali sono i margini di miglioramento? Uno dei principali problemi ricade proprio nel sistema e nelle strategie produttive e manageriali di un Paese, il nostro, in cui si lavora ancora in una logica di tempi di lavoro, focalizzando l’attenzione solo marginalmente sulla produttività. In questo scenario, assumono particolare importanza il processo di digitalizzazione e tutte le logiche a esso connesso: non basta un computer in più o saper usare un programma in più se non si cambiano assioma orario, luogo, presenza in produttività, obiettivi, flessibilità, libertà dei luoghi di lavoro.

Chi ha provato, con modelli ormai consolidati, ad attuare orari flessibili e salari premiali, puntando sul benessere della persona lavoratore, ha raggiunto risultati lusinghieri: alta fidelizzazione, desiderio di contribuire ai risultati aziendali, maggiore qualità nelle lavorazioni.
I modelli ci sono, dunque, e andrebbero replicati, ma, per farlo, occorre una completa trasformazione delle logiche gestionali e produttive con un cambiamento culturale che deve partire dal vertice.

La questione, in sintesi, non riguarda la settimana corta in sé, ma la capacità di liberare risorse, di puntare verso un benessere equamente distribuito, di rimodulare l’insieme puntando a un miglioramento del welfare aziendale. In questo quadro si innesta il fenomeno burnout, sempre più accentuato, in quanto il lavoratore persona ha diritto ad equilibrio tra lavoro e vita privata, fenomeno che per essere combattuto necessita di risposte concrete e non di irrigidimenti di visione.

Per queste ragioni, Meritocrazia Italia reputa:
– indispensabile un adeguamento culturale in grado di puntare all’efficienza, trovando equilibri tra benessere aziendale e benessere delle persone che compongono l’azienda;
– prospettico l’adeguamento delle spettanze retributive sia al costo della vita sia al conseguimento dei principi costituzionali sul lavoro;
– di visione la cura del benessere della persona lavoratore che sempre più si deve sentire parte attiva e centrale della vita produttiva aziendale, lavorando per obiettivi comuni;
– auspicabile il ripetere di modelli produttivi già esistenti in cui si è ben bilanciato il rapporto tra lavoro e vita privata;
– improcrastinabile un aumento della produzione pro capite, attraverso l’applicazione di nuovi modelli produttivi, e ciò al fine di donare all’Italia nuova prosperità.
Porre il benessere della persona al centro di ogni agire porta sempre anche enormi benefici all’insieme.

Stop war.



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