QUALE GERARCHIA NELL’IMPOSTAZIONE DEL METODO?

QUALE GERARCHIA NELL’IMPOSTAZIONE DEL METODO?

Volendo proseguire le riflessioni in merito ad Invalsi, in considerazione del primo articolo pubblicato su questo tema, si tenterà di dare continuità ad un ragionamento quanto più oggettivo possibile su genesi del fenomeno, sue funzioni e possibili soluzioni alternative che attendano parametri differenti, con valutazione della possibilità che questi siano più funzionali allo sviluppo della persona e dei suoi saperi. Si proverà a fornire soluzioni forse più idonee alle necessità reali e contemporanee, considerando gli stati di esigenza attuali della formazione, intesa sia come professionalità sia come individuazione del proprio io, in ottica di una costruzione e di un mutamento delle dinamiche collettive.

Nel precedente articolo ci siamo posti il problema se Invalsi fosse strumento di misurazione e valutazione o procedura di standardizzazione della formazione soggettiva, lasciando la risposta al lettore. Sembra comunque doveroso, a prescindere dall’esito di questa riflessione, comprendere cosa in realtà Invalsi misura, perché resta oggettivo che di strumento di misurazione stiamo parlando.

Appare chiaro come le prove Invalsi sono costruite per rilevare competenze definite chiave o fondamentali (vedi anche competenze richieste a livello Europeo, come quelle di literacy per l’italiano, sulle quali nei sistemi educativi, formativi e di istruzione sono costruiti i livelli di formazione – EQF).

Pacifico sembra quindi che l’impianto Invalsi sviluppi o provi a sviluppare e migliorare il livello di competenze trasversali, scolastiche, sociali, atte fra l’altro a garantire e favorire una mobilità europea.

L’orientamento della didattica interna, negli ultimi anni, sembra in effetti avvalorare le funzionalità attese da Invalsi, promuovendo il rafforzamento del concetto di una didattica per competenze, rafforzando ulteriormente quella che sembra una volontà orientata sulla necessità di creare e strutturare sempre in maniera maggiore il binomio scuola/impresa come scopo ultimo della nostra formazione.

La certificazione delle competenze non è sostitutiva delle attuali modalità di valutazione e attestazione giuridica dei risultati scolastici (ammissione alla classe successiva, rilascio di un titolo di studio finale, ecc.), accompagna e integra tali strumenti normativi, accentuando il carattere informativo e descrittivo del quadro delle competenze acquisite dagli allievi, ancorate a precisi indicatori dei risultati di apprendimento attesi.

L’obiettivo prefisso, quindi, sembra fuor di dubbio lodevole. Ci si chiede, però, se sia sufficiente.

Come ci si chiede, se l’obiettivo della formazione in genere debba essere la competenza. Sembra evidente che il centro dell’attenzione a scuola non siano più i contenuti disciplinari (italiano, storia, matematica, ecc.), ma le tecniche di apprendimento delle stesse.

E ancora ci si chiede se sulle tecniche di apprendimento viene fondata la didattica.

Secondo Giorgio Bertone, ordinario di Letteratura italiana all’Università di Genova, la didattica è un modo con cui il docente affronta il prossimo in classe; le materie sono i contenuti che egli trasmette.

Il tema a questo punto sembra spostarsi su un altro livello di discussione, che mira ad individuare quali siano le gerarchie delle necessità del singolo in relazione al se ed alla collettività; con la quale, quasi obbligatoriamente, dovrà interfacciarsi a plurimi livelli, lavorativi, sociali, famigliari.

Potremmo provare ad elaborare una sorta di gerarchia della formazione dell’individuo, sia esso docente o studente, secondo una delle tante sensibilità al tema, senza essere o voler essere perentori, esaustivi e tantomeno risolutivi.

Parrebbe naturale, parlando di formazione e didattica, partire dal tema principale, che è quello della conoscenza, ovvero dei saperi, semplicemente perché, se le competenze assumessero carattere dominante rispetto alla conoscenza, andremmo nel tempo a perdere quella spinta propulsiva che ci ha permesso di evolvere fino ad oggi. Non dimentichiamo mai che siamo ciò che siamo grazie a quello che siamo stati; si parla di storia, di scienza, si parla di esperienze, si parla di generazioni, si parla di umanità
nel senso proprio del termine.

E allora, affacciandoci alla finestra del nostro Paese, vediamo che l’Invalsi americana fa dietrofront sulle priorità da perseguire.

Nonostante i numerosi investimenti fatti per migliorare le loro capacità di lettura, sulla base di test eseguiti, non si vede quel miglioramento atteso. Eppure parliamo di una competenza base e senza dubbio fondamentale. Per individuarne il motivo, il Naep, l’Invalsi americana ha convocato un gruppo di esperti per analizzare il fenomeno. Il risultato delle loro conclusioni è stato
sorprendente.

Il motivo per il quale, a seguito dei cospicui investimenti, non si è riscontrato un miglioramento nelle capacità di lettura, è che «Leggere non è come andare in bicicletta»; non basta saper solo pedalare, ma, per capire un testo, occorre poter contare su un solido bagaglio di conoscenze, mentre il sistema scolastico americano a causa delle scelte didattiche prese negli ultimi venti anni dai diversi governi, ha puntato tutto e solo sulle competenze, a scapito della ricchezza e la varietà del curriculum.

Sembra essere tramontata, dunque, la ‘moda’ del modello americano di valutazione basato sui test e sulle competenze specifiche.

Come hanno spiegato gli esperti americani convocati dal Naep, la lettura è un’abilità complessa che richiede sia la capacità di decodificare un testo sia quello più articolato di saperlo comprendere. Nella comprensione di un brano conta, più il bagaglio di conoscenze che gli skills misurati dalle classiche prove standard.

Senza voler entrare nel merito e giudicare questo punto di vista, rileviamo che, nel nostro Paese, da alcuni anni si sta procedendo per il verso contrario: quello che porta verso le prove standardizzate nazionali, dando meno risalto alle conoscenze e alla valutazione tradizionale personalizzata.

Il nostro Invalsi pubblica ogni anno quelli che sono i descrittori dei livelli di risultato della certificazione di competenza delle prove svolte dagli studenti delle varie classi.

I descrittori pubblicati si distinguono in descrittori dei livelli di risultato e descrittori analitici dei livelli
di competenza:
– descrittori dei livelli di risultato della certificazione di competenza prova Invalsi – italiano
– descrittori analitici dei livelli di competenza – italiano
– descrittori dei livelli di risultato della certificazione di competenza prove Invalsi – matematica
– descrittori analitici dei livelli di competenza – matematica
– descrittori dei livelli di risultato della certificazione di competenza prova Invalsi – inglese
– descrittori analitici dei livelli di competenza – inglese.

Tornando all’analisi del caso americano, troviamo numerosi esempi di studiosi che sono giunti a conclusioni anti-test. Secondo Timothy Shanahan, professore emerito all’Università dell’Illinois e autore di oltre duecento pubblicazioni sulla «reading education», il sistema dei test commette, fra gli altri, un errore. Quello di misurare le capacità dei ragazzi usando dei brani scelti secondo il loro livello di capacità, mentre diverse ricerche dimostrano che gli studenti imparano molto di più quando leggono
testi al di sopra del loro livello di competenze, che li portano a sforzarsi arricchendo di fatto il loro vocabolario e le loro capacità di comprensione del testo stesso.

Sempre affacciandoci alla finestra del nostro Paese, abbiamo non troppo lontano l’esempio della Finlandia
La Finlandia è il Paese con il più alto punteggio del mondo nell’Education Index (pubblicato ogni anno nell’Indice dello Sviluppo Umano dell’ONU) e non usa nessuna forma di valutazione standardizzata delle competenze.

Nel Paese scandinavo, troviamo soltanto istituti pubblici e di altissimo livello; i docenti sono molto qualificati e puntano a motivare gli allievi. Fino a tredici anni non ci sono voti e si dà grande importanza al gioco.

È in vetta alla classifica del Pisa (Influential Programme for International Student Assesment) e dell’Ocse che misura alfabetizzazione e capacità matematiche della media degli studenti dei diversi Paesi.

Senza volersi troppo dilungare ma volendo offrire solo spunti di riflessione, in questo articolo proviamo a proseguire con la nostra analisi delle ‘gerarchie della didattica’, soffermandoci su un altro aspetto determinante, ossia la creazione, formazione e potenziamento della personalità individuale che si ritiene essere elemento necessario per la costruzione di una società in continua evoluzione e dove verosimilmente le capacità del singolo dovranno mutare tanto velocemente quanto in maniera consapevole.

Considerando questo ulteriore tema, ci si chiede se il livello prioritario del controllo delle competenze debba avere predominanza rispetto all’individuazione della propria personalità e peculiarità, come ancora ci si chiede se lo strumento necessario all’individuo alla fine del suo percorso formativo debba assumere carattere predominante nell’utilizzo delle competenze acquisite rispetto alla personalità sviluppata o viceversa. Anche qui poniamo il quesito senza arrogarci il compito di dare una risposta certa.

Quello che appare evidente è che i fattori che concorrono alla formazione di una persona sono molteplici, potenziare in maniera preponderante l’aspetto delle competenze, attraverso test standardizzati può apparire riduttivo rispetto alle reali capacità nonché necessità dell’individuo contestualizzato nel tempo e nel luogo in cui si trova.

Lasciamo al lettore una frase che racchiude al meglio questa fase di riflessione sulla necessità di trovare il miglior percorso sulla struttura della formazione. Carl Gustav Jung afferma che la formazione della propria personalità può avvenire attraverso la comprensione della propria verità e dalla comprensione della verità altrui, il tutto centrato sulla condizione inevitabile di una pedagogia fondata sulla conoscenza.

A noi trovare la risposta: fornire priorità alla competenza, regolamentandola attraverso standardizzazione del test, oppure dare priorità alla conoscenza e quindi allo sviluppo della propria personalità? Resta inteso che tutti e tre gli elementi sono fondamentali, ma va definito un ordine gerarchico e quindi seguita un’impostazione di metodo assai differente.
Di LEONARDO ALLEGREZZA



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