Riforma della giustizia penale: più che a un processo celere, si punti a un processo giusto

Riforma della giustizia penale: più che a un processo celere, si punti a un processo giusto

È di questi giorni l’annuncio del Ministro Nordio, in risposta al question time della Camera, di perseguire una stretta sulle indagini preliminari nel progetto di riforma del Codice di procedura penale.

L’attenzione si concentra sulla fase preliminare al processo vero e proprio, anche con l’obiettivo di abbattere i tempi di latenza ingiustificati, implementare forme di contraddittorio endoprocedimentale (pure funzionali a irrobustire forme di controllo sull’esercizio dell’azione penale) e, più in generale, assicurare certezza e brevità dei tempi investigativi.

Tuttavia l’impianto generale della riforma sembra incrinarsi su una torsione logica che tende a sovvertire l’architettura del processo quando si esige dal p.m. una prognosi di probabilità sulla condanna e non più sull’attuale sostenibilità dell’accusa in giudizio.
La prognosi che si prescrive, in ordine alla valutazione della sussistenza di elementi idonei a formare il convincimento del giudicante a pronunciarsi con una condanna, costituisce sovente una incognita difficile da valutare. La prova si forma nel dibattimento e in tale fase possono essere valutati elementi provenienti da più parti processuali, che aprono a diverse decisioni, spesso anche in contrasto con quanto acquisito nella fase di indagine.
A margine di tali considerazioni non si può fare a meno di notare che rimane del tutto inalterato il fenomeno per il quale, se il p.m. acquisisce nel corso delle indagini preliminari elementi in ordine a ulteriori fatti costituenti reato, nei confronti della stessa persona già iscritta nel registro degli indagati, deve procedere a nuova iscrizione e il termine per le indagini preliminari decorre in modo autonomo per ciascuna successiva iscrizione, senza che possa essere posto alcun limite all’utilizzazione di elementi emersi prima della detta iscrizione nel corso di accertamenti relativi ad altri fatti o senza che si possa in qualche modo limitare il numero di nuove iscrizioni, né dunque efficacemente prevenire il noto meccanismo della clonazione dei fascicoli.

È indispensabile realizzare un raccordo tra gli interventi innovativi proposti, da non trascurare soprattutto alla luce degli ambiziosi traguardi che essi propongono. Occorre comprendere da subito quali potrebbero essere in concreto i riflessi applicativi e l’approccio della giurisprudenza.
I pure ragionevoli obiettivi di decongestionamento del processo ed efficientamento del sistema giustizia non si traducano nei fatti in vuoti di tutela.
Le decisioni non siano soltanto celeri. Siano soprattutto giuste, sia per l’imputato che per la vittima che rischia di essere pretermessa dalla giusta valorizzazione dei propri diritti, sostanziali e processuali. Metastasi simili al caso Orlandi, costellato da archiviazioni, riaperture e depistaggi in uno spazio di circa 40 anni, non trovino più spazio in uno Stato di diritto. L’esercizio della giurisdizione è complesso, ma va salvaguardato, le istituzioni si rafforzano se sono efficienti, non se si ritraggono dai loro compiti.

Pur condividendo gli intenti, Meritocrazia Italia chiede che i problemi connessi alle lentezze giudiziarie siano risolte anche e soprattutto implementando gli organici delle amministrazioni della giustizia in ogni settore, dal personale di cancelleria agli organici dei magistrati.

Stop war.



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