Web tax: MI chiede un emendamento della legge di bilancio
Nell’ambito della manovra di bilancio, fa discutere la c.d. web tax, che colpisce il reddito prodotto da imprese non residenti che, prestando in rete servizi immateriali, producono ricavi in Italia senza pagare imposte sui relativi redditi in quanto privi di stabile organizzazione in territorio nazionale.
Sono coinvolti i redditi prodotti nel corso dell’anno solare da parte di soggetti economici semplici o aggregati in gruppo che, al lordo dei costi e al netto dell’Iva e di altre imposte indirette, abbiano superato le soglie di rilevanza corrispondenti a ricavi di almeno 750.000.000 euro derivanti da servizi digitali, di cui almeno 5.500.000 euro nello stato, con aliquota al 3%.
Rispetto alla disciplina attualmente vigente, la legge di bilancio si propone di estendere l’ambito soggettivo di applicazione dell’imposta, prevedendo che siano tassati tutti i soggetti esercenti attività di impresa che realizzano ricavi derivanti dai servizi digitali nel territorio dello Stato: verrebbero di fatto rimosse le soglie di reddito attualmente previste.
La proposta è stata subito cassata come foriera di grave iniquità: l’abbattimento delle soglie di fatto implica che anche le piccole imprese debbano corrispondere la tassazione sui servizi digitali rimanendo di fatto schiacciate dal vantaggio competitivo che, sebbene in via transitoria, si era cercato comunque di garantire.
Ed infatti la normativa vigente era destinata a una caducazione ope legis se fosse stata adottata la regolamentazione uniforme annunciata in sede OCSE e invocata in occasione del G20, a oggi però ancora assente.
La questione è politica, ma è soprattutto economica. È evidente che gli Stati Uniti sono impegnati in prima linea per proteggere i grandi colossi del web, tutti battenti bandiera americana (solitamente con il ricatto di dazi e altri oneri di import/export).
Naturalmente le esigenze contrapposte sono tutte meritevoli di attenzione, sia per quanto riguarda la necessità di un rastrellamento su risorse che vengono eluse da meccanismi societari complessi (incoraggiati proprio nelle grandi strutture che riescono a ottimizzare vantaggi fiscali grazie dalla loro stessa complessità), sia per la necessaria tutela di quelle imprese minori o neonate che sarebbero grandemente penalizzate dalla misura.
Meritocrazia Italia chiede che si guardi alla capacità contributiva come criterio discretivo, con tassazione di quei ricavi straordinari che la congiuntura economica alimenta e che, nonostante ciò, sono spesso strumentalizzati in chiave elusiva. D’altra parte, però, andrebbero salvaguardati il servizio pubblico dell’informazione (peraltro già tassato) e in generale quelle realtà che non potrebbero mai sostenere una pressione fiscale ulteriore se non al prezzo della competitività (che a ben vedere è la nemesi del rilancio spesso assunto a cavallo di battaglia delle maggioranze ad ogni tornata elettorale).
Necessario è emendare la legge di bilancio sul punto, prevedendo delle deroghe in favore del servizio pubblico, dell’editoria e dell’informazione ed in generale di PMI e start up, invocando una riduzione delle soglie di rilevanza o il loro rapporto, in luogo dell’appiattimento.
Parimenti, si invoca una più decisa partecipazione dei paesi OCSE e di quelli che compongono il G20 affinché possano finalmente fornire la tanto invocata regolazione multilaterale in una materia che è destinata a dominare nei prossimi anni sul piano fiscale e commerciale a livello globale.
Stop war.