ADEGUAMENTO DEI PIANI FORMATIVI

ADEGUAMENTO DEI PIANI FORMATIVI

Verso un mercato del lavoro in trasformazione

Il 3 dicembre 2019 l’OCSE ha presentato a Parigi il Rapporto Ocse-Pisa 2018, “Programme for International Students Assessment”, mentre l’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione Invalsi ha reso noti in contemporanea gli esiti italiani dell’indagine.
Al Programma di valutazione internazionale degli studenti hanno partecipato 79 Paesi, ben oltre i confini dei 37 Paesi dell’Ocse.


Oggetto della valutazione sono stati gli studenti quindicenni; si trattava di verificare in quale misura avessero acquisito le conoscenze e le competenze-chiave essenziali per la partecipazione alla vita sociale relativamente a Lettura, Matematica e Scienze e alla c.d. “competenza globale”.

Analizzando il dato nazionale, in Lettura, Matematica, Scienze gli studenti riportano 11 punti rispetto  media Ocse; in Matematica 2 in meno ; in Scienze, la media italiana è di 468 sui 489 Ocse.
La comparazione con le sei rilevazioni triennali precedenti, a partire dal 2000 ha mostrato una sostanziale continuità nella Lettura, mentre in Matematica si è registrato un miglioramento tra il 2006 e il 2009, ma poi si è fermato. In Scienze il peggioramento è stato netto: da 475 del 2000 a 468 del 2018.

Stiamo migliorando o peggiorando?

Attualmente, gli enti di formazione di base identificati in ogni scuola di ordine e grado e università, suddividono la formazione in due settori specifici: quella di chi insegna e quella di chi impara.

Per quel che riguarda la scuola, la l. n. 107 del 2015 definisce la formazione del personale della scuola come “obbligatoria, permanente e strategica” e la identifica come “opportunità di effettivo sviluppo e crescita professionale, per una rinnovata credibilità sociale di contributo all’innovazione e alla qualificazione del sistema educativo”.

E’ noto che le tessere fondamentali del puzzle educativo-formativo sono quattro: il sapere, sotto forma di competenze-chiave; l’ordinamento; l’assetto istituzionale ed amministrativo; la formazione-reclutamento-carriera del personale docente e dirigente.

Il mondo dell’insegnamento, ad ogni livello, dovrebbe prevedere una formazione continua, obbligatoria e gratuita per tutto il corpo docente e la formazione dovrebbe essere mirata al raggiungimento degli obiettivi previsti.

La formazione deve essere pratica e sperimentabile e deve avere un focus preciso.

Inadeguati sistemi formativi e disattenzione per le nuove competenze imposte dall’evoluzione tecnologica e dall’internalizzazione del mondo del lavoro finiscono per avere una forte incidenza negativa sulle opportunità occupazionali dei giovani.

La scelta delle professioni STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics), infatti, in Italia resta bassa. Solo 1 ragazzo su 4 fra gli studenti con alto rendimento in Matematica e Scienze prevede di lavorare a 30 anni come ingegnere o professionista nell’ambito delle scienze; per le ragazze solo 1 su 8. Sempre allo stesso livello di competenze degli studenti che hanno più probabilità di andare all’Università, le professioni sanitarie attraggono 1 ragazza su 4.

Di più, la ridotta integrazione tra scuola e imprese in Italia aggrava la situazione ed è sicuramente alla base del numero di NEET (Not in Education, Employment or Training: giovani disoccupati e al di fuori di qualsiasi ciclo di istruzione e formazione) più alto d’Europa e di una disoccupazione giovanile ben oltre il 40%. Viceversa, molte aziende dichiarano di non trovare le competenze necessarie per entrare nel vivo della nuova Industria 4.0, che scaturisce dalla quarta rivoluzione industriale del tutto automatizzata e interconnessa.

In base ai risultati dell’ultima indagine PISA gli studenti italiani che raggiungono il livello minimo di competenza (livello 2) sono due punti percentuali superiori alla media OCSE (27% invece che 25%). Tuttavia, anche gli studenti che non raggiungono il livello 2 sono in percentuale maggiore rispetto alla media internazionale (23% invece che 21%), mentre gli studenti ai livelli alti di competenza (livello 5 o superiore) sono in percentuale minore (4% rispetto a 8%). Molti giovani non dispongono, inoltre, di adeguate competenze digitali, risultando, quindi, più esposti al rischio di incontrare, nel corso della loro vita, maggiori ostacoli nell’inserimento sociale e nell’occupabilità.

Ma anche a parità di tempo di esposizione nel mercato del lavoro appare evidente l’effetto del titolo di studio sui livelli di occupazione.

Un dato comunque incoraggiante è quello riguardante le esperienze dei giovani nel mondo del lavoro: il 25,8% dei diplomati e il 36,1% dei laureati hanno, infatti, effettuato stage, tirocini o apprendistati all’interno del programma d’istruzione. In effetti, si segnala una rinnovata coscienza dell’utilità educativa, formativa e occupazionale delle esperienze di alternanza scuola-lavoro, tirocinio e apprendistato.

Non è un caso che, sia nel Jobs Act che nella riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione, nota come “La Buona Scuola”, l. 13 luglio 2015, n. 107, il problema della disoccupazione giovanile sia stato giàaffrontato con norme che riguardano non solo il lavoro, ma anche percorsi formativi on the job quali parti integranti l’attività didattica sia negli istituti scolastici che nelle università.

Come si evidenzia, inoltre, nella Guida operativa sull’alternanza scuola-lavoro – in coerenza con la mission dell’istruzione e della formazione di perseguire obiettivi quali la cittadinanza attiva, lo sviluppo personale e il benessere – l’alternanza scuola-lavoro (se seriamente realizzata) ha il merito di integrare il mondo della scuola e quello dell’impresa ospitante nella consapevolezza che “per uno sviluppo coerente e pieno della persona, è importante ampliare e diversificare i luoghi, le modalità e i tempi dell’apprendimento”.

La massa di dati sopra offerti richiederebbe uno studio lungo e approfondito, ma alcune considerazioni si possono già evidenziare.

Siamo al ventinovesimo gradino su una scala di 37 Paesi dell’Ocse; eppure siamo la seconda manifattura europea e tra le prime dieci potenze industriali. Questa contraddizione non può durare a lungo: o saliamo in prestazioni scolastiche o scenderemo lungo la gerarchia della produzione, dell’occupazione, del benessere.
Il calo demografico, che colpisce l’Italia e l’Europa, combinato con una generazione giovane sempre meno istruita, con tassi di analfabetismo funzionale in aumento – il 28% dei ragazzi che escono dalla Scuola media soffre già di analfabetismo funzionale – è largamente indicativo della situazione del Paese.

L’emergenza educativa si è ormai trasformata in patologia cronica del sistema nazionale di istruzione, formazione ed educazione.

In una società sempre più mutevole e instabile, meglio definita da Bauman, “liquida”, fatta di  cambiamenti rapidi, profondi e discontinui, diventa urgente il superamento della separazione tra mondo della scuola e mondo del lavoro attraverso la creazione di una sinergia formativa-educativa tra istituzioni formative e imprese, volta ad accompagnare i giovani a sviluppare in modo integrato conoscenze (“sapere”) e abilità (“saper fare”), permettendo loro di apprendere come applicare le conoscenze e le abilità nei vari contesti e situazioni.

Occorre tenere presente, inoltre, che, in aggiunta alle conoscenze e competenze tecniche, le imprese richiedono ai giovani competenze trasversali (come capacità di individuazione e risoluzione dei problemi, capacità decisionale rapida, versatilità, innovazione , creatività, lavoro in gruppo, approccio progettuale, flessibilità professionale,…) indispensabili per applicare le competenze tecniche in modo adeguato, unitamente alla capacità di relazionarsi con gli altri all’interno di un mercato del lavoro in continuo divenire.

Servono, per questo, più ingenti investimenti nella formazione di insegnanti pronti al rinnovato mondo del lavoro.

La formazione dovrebbe avere carattere flessibile e soprattutto essere mirata alle esigenze richieste.

In un mondo del lavoro che muta esigenze, anche le professionalità devono imparare a reinventarsi per essere attuali e creare discenti che siano il risultato di un adattamento costruito su basi programmatiche ben precise ed attuali.

È tuttavia evidente che nessun cambiamento può avere successo se calato in un ambiente sociale ed economico incapace di interpretare e sfruttare correttamente gli spazi creati e se non si favoriscono le condizioni affinché ciò avvenga: in primis un tessuto produttivo solido che risponda a standard qualitativi elevati, garantiti da un processo nel quale la scuola e l’impresa siano partner responsabili.

Di CAMILLA DE GIROLAMO e MARINA BARDANZELLU

 

 

 

 

 

FONTI

  • LE INDAGINI INTERNAZIONALI OCSE E IEA DEL 2015 – Contributi di approfondimento a cura di Laura Palmerio ed Elisa Caponera
  • PER – Progresso Europa Riforme – IL RAPPORTO OCSE-PISA RIVELA LA PATOLOGIA CRONICA DEL NOSTRO SISTEMA DI ISTRUZIONE
  • camera.it
  • Ministero dell’Istruzione – Ministero dell’Università e della Ricerca – Guida operativa sull’alternanza scuola-lavoro
  • Orizzonte scuola – Legge 13 luglio 2015, n. 107. Riforma della scuola “La Buona scuola”
  • ildirittoscolastico.it

 



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