BREXIT: UE E GRAN BRETAGNA A UN PASSO DA ‘NO DEAL’

BREXIT: UE E GRAN BRETAGNA A UN PASSO DA ‘NO DEAL’

La negoziazione della Brexit entra in una fase cruciale per l’approssimarsi del termine previsto dall’art. 50 del Trattato di uscita, e il Regno Unito, con il suo Primo Ministro, cambia unilateralmente alcune delle condizioni concordate, con il concreto rischio che si arrivi ad una Hard Brexit senza alcun Deal. Eventualità da scongiurare per plurime ragioni.

Occorre fare un passo indietro per capire l’evoluzione della vicenda.

Il Regno Unito ha formalmente lasciato l’Unione europea a gennaio di quest’anno, rimanendo nel mercato unico in virtù di un accordo sullo status quo con scadenza per la fine di dicembre. Durante l’attuale periodo di transizione nulla è cambiato per i cittadini, i consumatori, le imprese, gli investitori, gli studenti e i ricercatori, sia nell’Unione Europea che nel Regno Unito. Parimenti continua ad applicarsi il diritto europeo e non vi sono effetti sul sistema doganale e fiscale.

Le parti hanno avviato un negoziato per definire le future relazioni post-Brexit, sia commerciali che inerenti ulteriori e differenti temi connessi ai diritti dei cittadini UE dimoranti nel Regno Unito. Una trattativa non facile, portata avanti con determinazione dal team negoziale dell’Unione europea.

L’attività diplomatica, pur con situazioni di stallo legate al cambio di governo in Inghilterra, ha dato buoni risultati per entrambe le parti fino alla recente notizia della presentazione in Parlamento da parte del Governo di Londra di un progetto di legge che mira a modificare alcune parti dell’accordo al fine di tutelare meglio il mercato interno britannico.

Una norma le cui disposizioni – così prevede il testo – avranno effetto “nonostante l’incoerenza o l’incompatibilità con il diritto internazionale o con altre leggi nazionali”.

Una decisione senza precedenti che trova fondamento nella volontà di dare attuazione agli impegni elettorali di Boris Johnson, l’attuale Primo Ministro, il quale aveva promesso che i beni provenienti dall’Irlanda del Nord avrebbero avuto accesso illimitato al mercato britannico, conferendo ai ministri il potere di modificare o disapplicare le regole di esportazione per le merci che viaggiano, appunto, dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord.

La decisione britannica ha immediatamente suscitato la preoccupazione dell’Unione europea poiché, sulla scorta di tale disposizione, il Regno Unito ha deciso unilateralmente di cambiare alcune delle regole contenute nell’accordo di recesso firmato a gennaio, dando adito a dubbi in ordine alla possibilità di sottoporre a modifica unilaterale altri e differenti punti.

Tra questi, i diritti dei cittadini europei con residenza in Gran Bretagna che non sono in possesso di un documento cartaceo attestante la residenza stabile in Inghilterra, dato che il loro status emerge solo da un registro informatico.

Vi sono altre questioni importanti, come la regolamentazione della posizione dei lavoratori, degli studenti che stanno partecipando al programma Erasmus, degli scambi commerciali che se gestite concordemente consentirebbero una separazione non traumatica.

Di contro, il Governo di Londra, per motivi squisitamente di politica interna, ha scelto di intervenire su questioni rilevanti proponendo il disegno di legge chiamato Internal Market Bill. Tale progetto di legge riguarda in particolare l’Irlanda del Nord (che fa parte del Regno Unito, contrariamente al resto dell’isola, Eire o Repubblica d’Irlanda – Paese indipendente dal Regno Unito e membro dell’Unione Europea). Il Premier britannico ha inizialmente accettato che l’Irlanda del Nord restasse allineata alle normative europee in materia su dazi, commercio internazionale e trasporto di beni. Ora, il nuovo disegno di legge prevede delle deroghe agli accordi che l’Unione Europea interpreta come un non tenere fede alla parola data e un tentativo di aggiramento di norme che il Regno Unito ha recepito con legge. Più nel dettaglio, la nuova norma stabilisce che le disposizioni sugli aiuti di Stato dell’Unione Europea – che continueranno ad applicarsi in Irlanda del Nord – non varranno per il resto del Regno Unito, che avrà il potere di decidere autonomamente il proprio regime di sussidi. Pertanto viene previsto il conferimento pieni poteri di spesa al Governo, consentendo ai ministri di progettare e attuare schemi di sostituzione per i programmi di spesa dell’UE.

Immediata è stata la reazione dell’Unione Europea.

Il capo della Commissione europea Ursula von der Leyen ha espresso forte preoccupazione per l’agire del governo del Regno Unito destinato a far approvare il nuovo disegno di legge, sottolineando che “l’iniziativa distruggerà la fiducia reciproca e minerà i colloqui commerciali” e si è spinta ad affermare che l’Unione europea è pronta ad adire la Corte di Giustizia attuando tutto gli strumenti giuridici previsti dal trattato qualora il governo britannico non rinuncia alla promulgazione. Qualora il disegno di legge passasse il vaglio del Parlamento violerebbe in modo inequivocabile il diritto internazionale e il principio pacta sunt servanda, che rappresenta la base dei rapporti internazionali.

Si tratterebbe, dunque, di un incidente diplomatico di non poco conto che l’Unione vorrebbe scongiurare.

La Commissione Europea ha cercato subito di porre rimedio alla questione in un incontro tra il ministro britannico Michael Gove ed il vicepresidente della Commissione Maros Sefcovic. All’esito dello stesso è stato concesso il termine di un mese affinché la Gran Bretagna riveda la propria posizione e ponga le basi per ristabilire il rapporto di fiducia minato dal disegno di legge presentato al Parlamento il 9 settembre.

Sono due visioni contrapposte foriere di possibili conseguenze negative sui futuri rapporti politici e commerciali tra le parti.

La prima fra tutte riguarda lo status delle persone che viaggiano, lavorano o studiano nel Regno Unito. Non si possono trascurare le conseguenze per il commercio con l’aggravio dei costi dovuti alla introduzione dei dazi doganali che inciderebbero anche sull’economia italiana. Il Regno Unito, infatti, acquista tantissimi beni dall’Europa, e, in particolar modo i prodotti Made in Italy come cibo, abbigliamento, arredamenti e altro.

Se il nodo non verrà sciolto, la conseguenza sarà di rimettere in questione l’accordo raggiunto l’anno scorso tra Unione e Gran Bretagna, vanificando gli sforzi fatti da entrambe le parti per l’uscita meno gravosa.



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