Certificazione della parità di genere

Certificazione della parità di genere

C’è tanto da fare

Secondo quanto previsto dal Codice delle pari opportunità, le aziende pubbliche e private con più di cinquanta dipendenti sono tenute a redigere a cadenza biennale un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, da cui risultino elementi utili in ordine all’attività lavorativa dei due sessi nei vari settori economici, con riguardo alle diverse fasi professionali.
Il rapporto dovrebbe riferire, per ognuna delle qualifiche (dirigenti, quadri, impiegati ed operai), circa lo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, nonché di fenomeni di mobilità, della Cassa Integrazione Guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
Il documento deve essere compilato e inviato entro il 30 aprile dell’anno successivo alla scadenza di ciascun biennio, e, in caso di inottemperanza all’obbligo nei 60 giorni successivi all’invito, rispetto ai termini prescritti, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 516,46 euro a 2.582,28 euro. Oltre i 12 mesi, è disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall’azienda. Per un rapporto mendace o incompleto, la sanzione amministrativa pecuniaria va da 1.000,00 a 5.000,00 euro.

Oltre al rapporto biennale, è prevista la c.d. certificazione della parità di genere.
I parametri minimi da considerare per valutare il rispetto delle pari opportunità sono contenuti nelle Linee guida UNI/P.d.R. n. 125 del 2022.

Il PNRR pone specifici obiettivi quantitativi.
Entro il 2026 almeno 800 piccole e medie imprese dovranno ottenere la certificazione della parità di genere e 1.000 aziende dovranno beneficiare delle agevolazioni correlate. Ottenerla rappresenta anche il canale di accesso a una serie di benefici, tra i quali uno sgravio contributivo parziale.
Dal punto di vista qualitativo la misura ha l’ambizione di assicurare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ridurre il divario retributivo di genere, pari al 43,7% se si considera il salario annuale medio percepito da uomini e donne.

Le Linee guida segnano la direzione per avviare un «percorso sistemico di cambiamento culturale»: dal semplice e puro rispetto dei principi costituzionali di parità e uguaglianza all’adozione di politiche economiche e fiscali mirate per favorire l’ingresso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro.

In concreto, sono sei le aree da prendere in considerazione per verificare se un’organizzazione mette sullo stesso piano uomini e donne.
Ogni voce ha un peso specifico diverso: Cultura e strategia (15%), Governance (15%), Processi HR (15%), Opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda (20%), Equità remunerativa per genere (20%), Tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro (20%).
Per ogni area analizzata occorre riflettere su più aspetti specifici. Per la tutela della genitorialità, è rilevante la presenza di policy dedicate alla tutela della maternità e della paternità, oltre il CCNL di riferimento, come congedi ad hoc o asili nido; per quanto riguarda l’opportunità di crescita in azienda, si valuta ad esempio la percentuale di donne nell’organizzazione con qualifica di dirigente.

Ogni indicatore è associato a un punteggio il cui raggiungimento (o mancato raggiungimento) viene ponderato per il peso dell’area di valutazione ed è previsto il punteggio minimo di sintesi complessivo del 60% per l’accesso alla certificazione da parte dell’organizzazione.

La Legge di Bilancio 2022 ha istituito anche un Fondo per le attività di formazione propedeutiche all’ottenimento della certificazione della parità di genere, con una dotazione di 3 milioni di euro per l’anno 2022.
Al momento, però, non è ancora operativo.

Tra i vantaggi principali dello schema di riferimento per la Certificazione della Parità di Genere:
– lo sgravio contributivo fino a 50mila euro all’anno;
– il punteggio premiale per la concessione di aiuti di stato e/o finanziamenti pubblici in genere;
– un miglior posizionamento in graduatoria nei bandi di gara per l’acquisizione di servizi e forniture.

Occorre riflettere, però, sui dati reali: solo il 28% dei manager nel Paese è donna, la quota si riduce al 19% se si considera chi ha un contratto da dirigente, con un incremento annuale di uno scarso 0,3%.
Eppure la parità tra donna e uomo in ogni ambito della vita privata e pubblica avrebbe un impatto molto positivo anche sul Pil nazionale, con una potenziale crescita tra il 9% e l’11%.

Secondo la classifica dell’Indice sull’uguaglianza di genere, elaborato dall’European Institute for Gender Equality, l’Italia è al quattordicesimo posto in Europa.
Da migliorare c’è tanto.
Favorire gli investimenti tesi a ridurre il gender gap e promuovere la parità salariale è importante anche perché rappresenta una strategia efficace di politica industriale, necessaria per ridare vigore all’imprenditoria italiana e quindi alla società.
Innovazione e sostenibilità sono il binomio inscindibile per promuovere lo sviluppo di un ambiente lavorativo che sia rispettoso della dignità umana, per una sostenibilità non soltanto ambientale ma anche sociale, per superare la disparità di genere e migliorare la conciliazione tra i tempi di vita e quelli del lavoro.

Il Sistema Nazionale di Certificazione della Parità di Genere, per il quale il Pnrr ha stanziato 10 milioni di euro, è stato pensata proprio per generare una trasformazione culturale del sistema imprenditoriale, con l’obiettivo di incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il gender gap in tutte le aree che presentano maggiori criticità, promuovendo opportunità di carriera, parità salariale e di mansione, politiche di gestione delle differenze di genere e tutela della maternità.
La certificazione di fatto non punta a sanzionare le aziende, ma a premiare quelle che attiveranno politiche pensate per favorire l’integrazione tra i generi. La nuova certificazione non è un bollino rosa ma uno strumento per definire un processo migliorativo nel mondo dell’impresa.

A completamento e miglioramento della riforma sarebbe utile altresì:
– abbassare la soglia di accesso e verifiche fino ad arrivare alla microimpresa, ovvero a partire da 10 unità lavorative;
– rendere progressiva la detassazione quanto più l’azienda risulta virtuosa nelle pari opportunità;
– puntare all’adozione di un linguaggio rispettoso della parità di genere nella comunicazione anche negli ambiti istituzionali, nella redazione degli atti e nella comunicazione esterna. Questo darebbe la possibilità di attuare le indicazioni nazionali di cui alla Direttiva della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione pubblica e le indicazioni europee, in cui si raccomanda di «evitare l’uso di termini che, in quanto implichino la superiorità di un sesso sull’altro possono avere connotazione di parzialità, discriminazione o deminutio capitis»;
– incentivare l’organizzazione periodica di laboratori esperienziali nei luoghi di lavoro con professionisti del settore che aiutino il lavoratore a combattere il pregiudizio nell’approccio verso l’altro/a, considerato che il maggior pregiudizio nasce dalla paura della diversità e il miglior rimedio per superarlo è acquisire una mente aperta capace di mettersi in discussione e stimolare il confronto;
– sostenere la famiglia con servizi comunali a supporto della lavoratrice madre e/o della lavoratrice single. Sarebbe preferibile che questi strumenti fossero messi in atto dalle stesse aziende ma, laddove non possibile, dovrebbe essere gli enti territoriali a sopperire.



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