CHI INQUINA PAGA

CHI INQUINA PAGA

Ambiente e Fisco

Chi inquina paga‘ è un principio di natura comunitaria e internazionale che trova affermazione nel 1975 in una raccomandazione del Consiglio europeo che pone l’accento sul fatto che “le persone fisiche e giuridiche, di diritto pubblico e privato, responsabili di inquinamento debbono sostenere i costi delle misure necessarie per evitare o ridurre detto inquinamento”.

Talvolta questo principio è stato considerato strumento risarcitorio a carico degli autori di un danno ambientale. Altre volte è inteso come rimedio per recuperare i costi dell’inquinamento, sì che quello necessario al ripristino ambientale e al miglioramento possa essere corrisposto direttamente da coloro che incidono in maniera rilevante sull’ambiente.

Nell’ordinamento tributario, la dottrina considera tributi ambientali in senso proprio, solo quei tributi basati sul principio ‘chi inquina paga’ e che quindi hanno come presupposto un avvenuto inquinamento, cioè il danno ambientale già perpetrato. Tali tributi sono, ad esempio, quelli che colpiscono direttamente l’emissione di rumori, gas inquinanti, estrazione, produzione di sostanze che danneggiano l’ambiente.
Ci sarebbero, poi, i tributi ambientali solo in senso funzionale, che seppure hanno come presupposto reddito, patrimonio, consumo, si caratterizzano per la loro funzione di incentivare o meno attività o produzione di beni che incidono sull’ambiente.

In questi mesi massima attenzione è stata riposta sulla carbon tax, una tassa sulle risorse energetiche che emettono diossido di carbonio nell’atmosfera.
I Governi e le Istituzioni Europee si propongono di far pagare la CO2 su scala internazionale, applicando, per l’appunto, il detto principio ‘chi inquina paga’. Una sorta di dazio ambientale riassunto nell’acronimo CBAM, Carbon Border Adjustment Mechanism .
Già il 19 Marzo 2018 fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, la Direttiva 2018/410/UE, per il funzionamento dell’Emissions Trading System europeo (EU-ETS), mentre lo scorso marzo, il Parlamento europeo ha votato contro la proposta di eliminare gradualmente i crediti gratuiti per le emissioni di CO2 per le industrie nell’EU ETS. L’UE prevede di sostituire gradualmente il sistema con la c.d. carbon border tax o carbon border adjustment mechanism (CBAM), cioè una tassa sul carbonio alla frontiera. In realtà più che una tassa sarebbe un prelievo transfrontaliero, proprio per equiparare il mercato internazionale a quello europeo in caso di importazione, anche se uno dei principali obiettivi, oltre a quello di competizione nel mercato delle industrie europee, è quello climatico di riduzione del 55% delle emissioni di anidride carbonica, fino a giungere all’azzeramento. Ovviamente i soggetti passivi del tributo saranno le grandi industrie come cementifici, acciaierie, cartiere, stabilimenti petrolchimici.

Ci si augura che gli introiti delle tasse sui prodotti energetici possano essere utilizzati non solo a fini ambientali, ma anche extra, ovvero per offrire sostegno economico alle fasce più basse dei contribuenti, e a quelle maggiormente colpite da un aumento dei prezzi di elettricità e gas dovuto ai meccanismi di carbon pricing.

Ci si auspica altresì che questa possa essere attuazione della fiscalità energetica-ambientale, realizzando misure idonee, da un lato, a penalizzare l’uso di sostanze tossiche per l’ambiente, e, dall’altro, a sostenere famiglie che non riescono a pagare le loro bollette. Considerando che le tasse costituiscono circa il 40% degli importi delle bollette sui prodotti energetici, una netta diminuzione delle stesse comporterebbe un beneficio immediato ed evidente per le famiglie italiane.



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