COLTIVARE LA BUONA ECONOMIA

COLTIVARE LA BUONA ECONOMIA

Le utilità nascoste della lotta allo spreco

Nell’evolversi della Società, si è compreso come e perché l’ambiente rappresenti una risorsa economica, oltre che culturale.
Ciò deriva dalla logica deduzione che riconosce l’esistenza di un unico grande patrimonio comune di qualità ambientale, decisivo per il benessere delle persone e che si amalgama con l’economia nel suo insieme. È il tesoro della Terra e dei suoi abitanti, che è fatto di ambiente e di biodiversità, come di cultura, di civiltà, di tradizioni e di economia.

Nell’ottica della tutela e della valorizzazione di questo patrimonio, le azioni dei singoli individui giocano un ruolo fondamentale, così come lo sono quelle delle imprese. Basti pensare alla lotta allo spreco, che nella pratica quotidiana è in assoluto il primo passo, il più semplice e condivisibile, che si può compiere nella direzione del rispetto per la qualità ambientale. E fra tutti gli sprechi da evitare, lo spreco alimentare è senz’altro un’ulteriore priorità, sia sul piano economico che sul piano etico e morale.

Del resto, la lotta allo spreco è – a tutti gli effetti – anche miglioramento del sistema economico.

In questo senso, ha fatto discutere un recente articolo dell’Economist, ove si sostiene che entro il 2030 la povertà potrebbe e dovrebbe scomparire definitivamente, a livello mondiale. Questa previsione, che appare certamente ottimistica, è comunque basata sul trend reale della crescita economica conseguito dai Paesi in via di sviluppo negli ultimi vent’anni.

La carenza e l’eccesso sono due facce di una stessa medaglia, le costanti con cui l’essere umano – ora come in ogni tempo – si trova a che fare, e alle quali è chiamato a trovare risposte.
La carenza, l’eccesso e lo spreco – di cibo, di energia, di risorse – hanno bisogno di buone pratiche per essere corretti, sia da parte delle amministrazioni politiche che per azione dei cittadini. Si palesa, ancora una volta, il bisogno di una saggia e concreta opera che favorisca la redistribuzione. Risulta necessario un intervento per garantire maggiore equità e uguaglianza, della capacità d’azione e partecipazione garantita dalle società agli individui. In termini economici, tutto ciò deve volgere verso “l’ottimo assoluto”, rappresentato dal bene comune.

La lotta allo spreco e alla cultura dello scarto, soprattutto per la parte più benestante del mondo, è pertanto una prima risposta pratica per agire concretamente al fine di tutelare e migliorare la qualità della vita globale.

Ma non basta.

Nel suo recente libro, “Endangered Economies”, l’economista Geoffrey Heal esamina la gamma di misure, pubbliche e private, adottate per bloccare ulteriori cambiamenti climatici.
Un punto introdotto da Heal è che il danno – in molti casi, la devastazione – a carico del nostro mondo naturale ha gravi conseguenze non solo per l’aria e l’acqua da cui dipendiamo per la nostra esistenza, ma anche per le imprese, che si sono basate su vantaggi naturali gratuiti come l’impollinazione, il ciclo dell’acqua, gli ecosistemi marini e forestali e altro ancora. Pertanto, preservare il “capitale naturale” aumenterebbe il tasso di rendimento del capitale nel settore imprenditoriale. Le imprese reagirebbero investendo di più, aumentando così la produttività dell’economia. E con ciascuno di questi stimoli, potremmo permetterci uno sforzo maggiore che consentirebbe di preservare ulteriormente il capitale naturale globale. Il mondo, quindi, deve rinunciare ad aspirare a una crescita economica tanto rapida da ridurre il capitale naturale del mondo e puntare invece più scientemente ad una crescita economica green, senza danneggiare o distruggere l’ambiente. Allo stesso tempo, vogliamo migliorare l’ambiente senza fermare l’innovazione e la crescita economica. Una possibile soluzione è la c.d. agricoltura rigenerativa, recentemente introdotta in alcuni Paesi.

Se rese proficue, queste innovazioni potrebbero creare un incentivo per gli attori privati ad intraprendere la cattura del carbonio ben al di là di quanto un governo nazionale possa permettersi di perseguire.

In ogni caso, qualsiasi programma per la protezione ambientale deve potersi basare sulla morale collettiva, sul senso d’altruismo e di responsabilità. Di cittadini e imprese.



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