CONTRO IL PREGIUDIZIO, IL CURRICULUM ANONIMO

CONTRO IL PREGIUDIZIO, IL CURRICULUM ANONIMO

Un’esperienza da replicare?

Nuovi scenari si aprono sul mondo del lavoro nel prossimo futuro.
Fanno ben sperare le opportunità connesse al Piano Nazionale per la Ripresa e la Resilienza. Per altro verso, alto è il rischio occupazionale.
Servirà particolare accortezza nella gestione del settore.

V’è da credere che le procedure di selezione del personale, nel pubblico e nel privato, assumeranno un rilievo notevole, rivestendo un ruolo strategico sia per l’organizzazione delle stesse imprese sia per il miglioramento della loro competitività.

Una adeguata selezione del personale può portare importanti benefici in termini di
riduzione dei costi legati ad un eccessivo turnover;
introduzione di cambiamenti aziendali innovativi, con l’individuazione dei profili più idonei ad aumentare la redditività aziendale;
competenze dei candidati, per la valorizzazione di potenzialità essenziali in un mondo lavorativo in continuo e celere divenire.

Ciò che accade di solito è che, nella raccolta delle candidature dei lavoratori, una volta stabiliti i requisiti necessari, si passi alla individuazione delle fonti di reclutamento dalle quali attingere, interne (con azioni di ricerca del personale messe in atto dall’impresa stessa e rintracciabili dalle richieste dei dipendenti o dai concorsi interni o dalla job rotation) ed esterne, più articolate (dall’autocandidatura, alle segnalazioni professionali fino ad arrivare alla ricerca attiva tramite social).
Il processo di selezione, però, è spesso influenzato da fattori ambientali, psicologici ed emotivi, con le distorsioni procurate dalla percezione di chi intervista i candidati; succede che la valutazione delle competenze sia ridotta sul piano nozionistico e pecchi in oggettività. Non si negano condizionamenti relativi a orientamento sessuale, religione o genere.
Ne risultano mortificate non soltanto le ambizioni lavorative dei singoli, ma anche le possibilità di crescita delle imprese in relazioni alle istanze di un mercato in evoluzione. Per un danno complessivo sociale ed economico.

La questione è stata affrontata qualche anno dall’Ifop: nel corso dell’indagine, un lavoratore su tre ha ammesso di essere stato vittima di discriminazioni sul lavoro e di non aver reagito ai soprusi. La ricerca è stata effettuata su un campione di lavoratori impegnati nella ricerca di lavoro ed era focalizzata sui motivi alla base di comportamenti discriminatori: al primo posto continua a posizionarsi il genere sessuale che pesa per il 29% nel settore pubblico e 31% nel privato; episodi spiacevoli riscontrati anche relativi alle origini etniche (16% e 27%), così come per aspetto fisico (22% e 19%), credo religioso, nazionalità e maternità.

Sono frequenti gli episodi discriminatori nella fase terminale del rapporto di lavoro, con ingiusti licenziamenti, e passa facilmente in secondo piano il peso che possono avere nella fase di ingresso nel mondo del lavoro.

A riguardo, l’art. 27, comma 1, d.lg. n. 198 del 2006 (c.d. Codice delle pari opportunità), considera «esplicitamente vietata qualsiasi discriminazione per quanto riguarda l’accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione, noncè la promozione, indipendentemente dalle modalità di assunzione e qualsiasi sia il settore o ramo di attività, a tutti i livelli della gerarchia professionale».

In Italia, per indagare il fenomeno, alcuni studiosi hanno inviato a potenziali datori di lavoro migliaia di curriculum appositamente progettati, con la precisa indicazione di caratteristiche relative, tra l’altro, a età, titolo di studio, orientamento sessuale e aspetto fisico, per capire se qualcuno di questi elementi rendesse più o meno probabile un successivo colloquio. L’esito confermava i sospetti iniziali e portava a concludere che «per quanto esiste e probabilmente esisterà sempre un margine di incertezza nel dare cifre su problemi così complicati, c’è ampio accordo sul fatto che la discriminazione sul lavoro sia qualcosa di reale».

È chiaro che, per uscirne, occorre un cambio di passo e un nuovo approccio di tipo culturale, per la valorizzazione dei meriti e dei talenti, oltre ogni ostacolo di carattere ideologico o emotivo.

Viene da Norvegia, Finlandia e Islanda l’introduzione del c.d. ‘curriculum anonimo’, nel quale sono omesse tutte le informazioni che potrebbero aprire a discriminazioni (i.e., nome, età e genere) e indicate soltanto competenze ed esperienze.
Un progetto pilota, attualmente in corso ad Helsinki, che ha già prodotto risultati entusiasmanti per le assunzioni in 12 settori, tra i quali trasporto, formazione, salute e benessere, e che, per questo, è stato prorogato a tutto il 2021. L’unico limite riscontrato per una maggiore diffusione in tutto il Paese è risultato essere ad oggi la tecnologia, dato che tutti i sistemi informatici utilizzati dalle agenzie sono implementati su database che necessitano obbligatoriamente anche delle informazioni omesse.

Il sistema non rappresenta una novità assoluta, essendo già stato avvicinato anche in Francia ed in Svizzera, pur con margini di successo non altrettanto importanti.

Non è peregrino credere che possa essere di qualche utilità l’importazione di questo modus operandi anche nel mercato italiano del lavoro, per una migliore parità di trattamento e contro le insidie del pregiudizio. In Italia, già alcune aziende nel campo della moda, hanno seguito questo esempio per favorire meritocrazia ed equa distribuzione delle opportunità.

Ciò si dice, però, nella consapevolezza che l’ostacolo non può essere aggirato, ma deve essere superato definitivamente mediante la diffusione della cultura dell’inclusione e del rispetto.
Senza contare che, a parte i limiti dovuti al fatto che le caratteristiche omesse in curriculum non potrebbero comunque essere nascoste in sede di colloquio, le peculiarità personali fanno parte ineliminabile della individualità e sarebbe fuor di ragionevolezza pretenderne una obliterazione in ragione dell’altrui incapacità di serena valutazione.
Il merito non si valuta sulla base di una mera analisi statistica dei dati; è il fattore umano che crea quella diversità che dà valore al contributo potenziale di ciascuno.

 

 

 

 

 

 

FONTI
businessinsider.com
www.comunicatorisumisura.it



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