CULTURA, INNOVAZIONE E COESIONE SOCIALE

CULTURA, INNOVAZIONE E COESIONE SOCIALE

Per rimodulare le ZES e ridisegnare il sistema

L’Italia dei tempi della pandemia è l’immagine di un Paese lacerato da un virus che ha mostrato tutti i limiti e le carenze strutturali di un sistema che, negli anni, ha demolito lo Stato sociale, lasciando dietro di sé le classi più indifese e un cumulo di macerie in campo economico e sociale.
La contingenza dimostra che da tali macerie strutturali e sociali non si può pensare di ripartire senza procedere parallelamente alla ricostruzione della società con uno slancio di solidarietà condivisa.

Oggi più che mai occorre promuovere, a livello nazionale, un modello di sviluppo che rimetta al centro dell’attenzione l’interesse collettivo e il bene comune, guardando alla Costituzione come riferimento di coesione, giustizia sociale e solidarietà tra i territori ed i cittadini. Un modello di sviluppo, quindi, improntato a princìpi universali e non a interessi particolari, avente alla base politiche pubbliche di impianto e orientamento volte a seguire una direzione opposta rispetto a quelle deliberate negli ultimi decenni.

Il principio della coesione sociale insegna, invero, che un Paese può superare i momenti più tragici della sua storia solo con uno spirito unitario e costituzionale, che non privilegi alcuni a scapito dei tanti e con un’attenzione particolare rivolta alla precarietà complessivamente intesa nella sua accezione economica, umana ed esistenziale. In altre parole, un Paese che veda i cittadini sempre più al centro della vita politica ed amministrativa.

Sicuramente, nel ridisegnare il sistema Italia per i prossimi decenni, un fattore determinante nella rimodulazione di un modello economico, culturale e sociale sarà dettato dalla maniera con cui verranno indirizzate e impiegate le risorse del Recovery Found e dal PNRR a cui questo è correlato. Particolarmente significative, al riguardo, saranno le riforme relative alla c.d. missione n. 5, dedicata all’inclusione e alla coesione e indirizzata ad annoverare anche gli interventi finalizzati a rendere operative le Zone Economiche Speciali (ZES), attualmente in fase di stallo.

Una possibile ed efficace chiave di lettura del Piano sarebbe la predisposizione di un progetto di riforma trasversale della misura, orientato a riequilibrare i fondi messi a disposizione dal Recovery Fund in un’ottica di coesione territoriale e sociale. Questo porterebbe difatti a realizzare uno degli obiettivi primari per cui le ZES sono state istituite, ossia ridurre i c.dd. divari di cittadinanza (infrastrutturali, occupazionali, di servizi e beni pubblici) tra Nord e Sud e tra aree urbane ed aree interne mediante:
– l’elaborazione di un asse strategico per il Meridione che abbia quali parametri di riferimento il reddito pro capite, il tasso di disoccupazione, le varie forme di diseguaglianza sociale ed il tasso di coesione del Paese;
– scelte programmatiche di medio periodo basate su azioni ed interventi mirati alla realizzazione di un Paese più inclusivo, paritario, modernizzato ed efficiente e che veda una maggiore coesione istituzionale tra Regioni, Città metropolitane, Città medie, piccoli Comuni, Enti ed aree interne.

Congegnate al centro di uno snodo logistico, strategico e nevralgico e prossime all’affermazione con il concomitante avvento dell’industria 4.0 e dell’infrastrutturazione digitale, le Zone Economiche Speciali sarebbero in tal modo proiettate a divenire dei laboratori per gli investimenti ed incubatori di innovazione, capaci di promuovere sviluppo produttivo, economico, sociale ed occupazionale partendo dalle periferie, con l’assegnazione di un ruolo costitutivo e funzionale al processo d’integrazione delle aree interne.

Applicato a un modello di sviluppo locale, il connubio con le ZEC (Zone Economiche Culturali), coniate per promuovere l’industria culturale e creativa, si tradurrebbe nella realizzazione di interventi finalizzati a:
– potenziamento della quantità e qualità delle infrastrutture sociali;
– attuazione di Interventi speciali per la Coesione territoriale mirati alla riduzione dell’impatto della crisi ed alla creazione delle condizioni per uno sviluppo equo e resiliente in ambiti territoriali specifici.

Ciò renderebbe le ZES un valido strumento in grado di intervenire nelle aree di disagio sociale e nelle periferie urbane a rischio emarginazione, povertà educativa e criminalità, attraverso progetti di rigenerazione delle aree periferiche mirati non solo a contrastare lo stato di degrado, ma soprattutto a sviluppare percorsi di sostegno e di recupero ed a coniare opportunità di impiego in attività lavorative per soggetti fragili, a rischio di devianza e di emarginazione ed inseriti anche in contesti difficili. Un esempio potrebbe essere, unitamente alla riqualificazione ed alla rigenerazione dei siti e degli edifici dismessi, oggi in stato di abbandono, la creazione di impianti sportivi e parchi urbani attrezzati nel novero di un Presidio culturale, educativo, sportivo e sociale da impiantare nella comunità di quartiere quale centro di riferimento e aggregazione sul territorio in cui sviluppare progetti integrati di cultura/sport/formazione/scuole di arti e mestieri che riguardino pure persone diversamente abili.

Tutto questo, improntato a una logica di dialogo e azione costante tra istituzioni locali (Comuni, Province/Regioni), realtà associative e Stato Centrale, darebbe un notevole impulso alla reale ripresa economica e sociale del Paese portando a porre il “capitale umano” quale imprescindibile base di partenza a cui destinare interventi decisi, predeterminati nel tempo di realizzazione e volti a coinvolgere sinergicamente più settori.



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