DEPRESSIONE E LANGUISHING

DEPRESSIONE E LANGUISHING

È un problema sottovalutare il problema

È recente l’approvazione all’unanimità di cinque mozioni sulla depressione da parte della Camera dei Deputati.
Tre gli asset principali emersi: educazione e formazione come presupposto imprescindibile per la conoscenza della patologia; prevenzione, per consentire un ricorso precoce e appropriato a diagnosi e supporto medico; cura con una rete nazionale per un accesso a servizi e opportunità di trattamento opportunamente diversificate

La depressione è la prima causa di disAbilità a livello globale, con 300 milioni di pazienti in tutto il mondo. Già nel 2019 veniva considerata la ‘malattia sommersa’ più diffusa al mondo, combattuta solo in Italia da 3,5 milioni di persone (di cui 1,3 milioni con un disturbo depressivo maggiore), con un rapporto donna-uomo di 2 a 1. E, a causa della pandemia, i sintomi depressivi si sono complessivamente quintuplicati.

Da qualche anno la patologia psichiatrica, nella particolare forma dell’ansia e della depressione, già rappresentava la principale causa di accesso al medico di medicina generale. Durante e dopo l’emergenza pandemica, la situazione si è ulteriormente aggravata. Il male non si è diffuso solo tra le persone anziane, ma ha coinvolto giovani, adulti e adolescenti, acuendo disuguaglianze già presenti e confermando i determinanti sociali dei disturbi mentali (le condizioni sociali, economiche, di assistenza, in cui ogni individuo vive).

Le donne sono quelle maggiormente colpite dalle conseguenze sociali ed economiche della pandemia, avendo subito un ulteriore aggravio negli impegni di cura o domestici, oltre alla maggiore esposizione a violenze domestiche. Un contributo devastante alla condizione psicologica.
Per i giovani sono state determinanti, invece, la chiusura delle scuole e le restrizioni limitative della possibilità di interazione, insieme al rischio disoccupazione.

Per vero, oltre alla depressione, occorre fare i conti anche con il fenomeno del languishing, quella sensazione apparentemente inspiegabile che il lockdown ha lasciato a tanti, di un’assenza di benessere, che si traduce in apatia. La sensazione è quella di chi si ritrova a «guardare la propria vita da un finestrino appannato».
Una condizione che non può essere qualificata ‘patologia in senso stretto’ perché non porta sintomi di disagi psichici, ma che comunque non può essere sottovalutata. Comporta la mortificazione della motivazione e la riduzione della capacità di concentrazione. Cresce l’indolenza.
Tale condizione è l’anticamera di disagi più seri per il futuro.
Il pericolo maggiore è proprio nella scarsa consapevolezza della portata del problema, spesso sottovalutato.

Un primo passo è di sicuro riconoscere il peso di patologie e disagi psicologici e non soltanto fisici. Essere in buona salute non vuol dire conservare salute fisica.
Già da anni l’Oms definisce la salute come «uno stato di completo benessere bio-psico-sociale (fisico, mentale e socio-relazionale) e non solamente come assenza di malattia o infermità».
L’espressione spesso utilizzata «non ha nulla, è solo un fatto psicologico» contribuisce a esasperare la sofferenza, perché accresce la coscienza di non essere compresi. E allontana dalla cura adeguata. Il ritardo nella diagnosi, i trattamenti medici e/o psicoterapici non adeguati facilitano nel 40% una cronicità che impatta sulla qualità e quantità di vita.

La depressione si può prevenire, diagnosticare, intercettare per tempo e, naturalmente, curare.

Si assiste a un abuso diffuso di antidepressivi e ansiolitici, spesso assunti senza risultati clinici o con importanti effetti collaterali che portano i medici a dover cambiare terapia innumerevoli volte.
Questo procura sfiducia verso le cure e una notevole spesa sanitaria alla ricerca del farmaco ‘corretto’.

Una soluzione al problema potrebbe essere rappresentata dai progressi della farmacogenetica, che studia l’influenza dei fattori genetici sull’attività di un farmaco. Punta a utilizzare l’informazione genetica nella selezione del farmaco per massimizzarne l’efficacia terapeutica e minimizzarne gli effetti secondari e non voluti. La stessa FDA pubblica sul proprio sito web un elenco dei farmaci per i quali consiglia di eseguire analisi genetiche prima della prescrizione.

Tra le altre soluzioni:
promuovere campagne di sensibilizzazione, con particolare attenzione al tema della salute emotiva e comportamentale e soprattutto diffondendo la consapevolezza della ‘curabilità’, per il superamento di stereotipi e luoghi comuni;
incrementare gli investimenti nella ricerca scientifica, verso cure e combinazioni terapeutiche efficaci ed innovative;
– puntare su campagne di prevenzione e screening, sì da ridurre i tempi di attesa per la diagnosi di depressione;
– adottare iniziative di competenza per potenziare la rete di servizi sanitari dedicati alla salute mentale, distribuiti sul territorio in modo capillare e coinvolgendo la medicina generale e specialistica;
– promuovere la farmacogenetica, per consentire un intervento mirato con certezza di risultato ad hoc per il singolo paziente, con un beneficio fisico e psichico per lo stesso e un notevole risparmio per la spesa sanitaria pubblica;
creare una rete per attivare iniziative utili a realizzare un piano nazionale di lotta alla depressione nel quale siano evidenziati i bisogni e gli strumenti, coinvolgendo tutti gli interlocutori interessati, specialisti, psichiatri, neuropsichiatri, psicologi, medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, ma anche insegnanti e famiglie;
– inserire nelle scuole la figura stabile dello psicologo.



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