DIRITTO ALL’ABORTO E OBIEZIONE DI COSCIENZA

DIRITTO ALL’ABORTO E OBIEZIONE DI COSCIENZA

Prime riflessioni

È notizia recente quella del ginecologo costretto a prorogare di sei mesi la data del suo pensionamento con l’argomento che, nella zona, nessun medico ‘non obiettore’ aveva risposto all’avviso pubblico, esteso anche ai medici specialistici del terzo anno, a colmare il posto vacante dell’Asrem, Azienda Sanitaria Regionale del Molise.

Non è il primo caso e con tutta probabilità non sarà l’ultimo.
La questione va affrontata.

Secondo dati riportati dall’ultima Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della l. n. 194 del 1978, il 69% dei ginecologi italiani è obiettore di coscienza, cioè si rifiuta di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza, con cinque regioni italiane che superano la quota dell’80%, fino al 92,3% del Molise (che ha una sola struttura in tutto il territorio regionale attrezzata per le Ivg). È obiettore anche il 46,3% degli anestesisti e il 42,2% del personale sanitario non medico.

Il Consiglio d’Europa, in materia, è intervenuto di recente per redarguire l’Italia, ricordando che non ha ancora risolto le violazioni rilevate nel 2013 e nel 2015.

In questo scenario, nonostante sia obbligo del Ministero della Sanità trasmettere il rapporto sull’attuazione delle norme entro il febbraio dell’anno successivo a quello monitorato, gli ultimi dati disponibili sull’aborto volontario in Italia risalgono al 2018, con una relazione governativa presentata in Parlamento solo nel gennaio 2020. In tale occasione si puntualizzava che il Governo non aveva fornito alcuna informazione sul numero di domande o percentuale di domande d’aborto che non sono state soddisfatte in un determinato ospedale o regione a causa del numero insufficiente di medici non obiettori. Dai dati del 2018, però, si evince che il numero dei ginecologi obiettori di coscienza continua ad aumentare e che il 5% delle interruzioni di gravidanza è eseguito in una Regione diversa da quella di domicilio della donna. Per questo motivo sono stati chiesti al Governo dati recenti su aborti clandestini, numero di obiettori di coscienza tra i farmacisti e il personale dei centri di pianificazione familiare e informazioni sull’impatto sull’effettivo accesso all’interruzione di gravidanza.

L’obiezione di coscienza è un diritto riconosciuto, ma la stessa l. n. 194 del 1978 stabilisce anche che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono comunque tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di Ivg e che le Regioni devono controllarne e garantirne anche attraverso la mobilità del personale.

La violazione di questi obblighi sottrae a tante donne la possibilità di accedere liberamente e senza criminalizzazioni a un servizio che, negato, porta a un pericoloso aumento del rischio di pratiche lesive della dignità e della salute.
Il problema non è l’obiezione di coscienza in sé, ma la lentezza con la quale le buone pratiche sanitarie si adeguano agli standard europei. Si pensi al caso dell’aborto farmacologico, a larga scelta delle donne italiane ma continuamente e costantemente ostacolato.

Dal 1978 ad oggi, insomma, non si è fatto alcun passo in avanti reale e il tema dell’aborto è ancora fortemente strumentalizzato.
L’immobilismo legislativo ha impedito la necessaria rivisitazione della legge n. 194, nell’interesse delle donne che intendano usufruirne, visto che addirittura ci sono casi in cui sono costrette ad andare all’estero per esercitare questo diritto riconosciuto, palesando le carenze di una legge che risponde più bene alla realtà.

Succede, infatti, che nel 35,1% delle strutture italiane con reparto dedicato non sia possibile accedere all’interruzione di gravidanza. E questo si verifica nonostante si vieti ‘l’obiezione di struttura’, cioè si stabilisca che il numero di medici obiettori di un ospedale non deve impedire che vi si pratichino interventi di interruzione volontaria di gravidanza.
Nonostante la l. n. 194, all’art. 9, riconosca il diritto del personale sanitario a sollevare obiezione di coscienza esclusivamente in base a una scelta personale e non come linea di condotta imposta dalla scuola o dal posto di lavoro, le associazioni lamentano troppo spesso a riguardo delle violazioni, con imposizione dell’obiezione riportata in documenti ufficiali di università o strutture sanitarie e denunciata più volte da studenti e lavoratori, che non possono dunque fruire della formazione sull’ivg, sulla contraccezione e sula fecondazione medicalmente assistita.

Ciò considerato, è fondamentale perseguire nuovi equilibri,
– evitando di assegnare ai reparti in cui si praticano aborti personale sanitario che si dichiara obiettore di coscienza;
– riservando il 50% dei posti nei concorsi pubblici a medici non obiettori o inserire tale condizione a monte nelle clausole concorsuali;
– individuando almeno una struttura per provincia attrezzata per eseguire aborti terapeutici e volontari;
– istituendo un albo pubblico per ogni ospedale in cui riportare i dati relativi all’obiezione di coscienza, per garantire la trasparenza e rendere pubblica tale posizione.

 

 

 

 

 

FONTI

www.salute.gov.it Relazione Ministro Salute attuazione legge 194/78 tutela sociale maternità e interruzione volontaria di gravidanza – dati 2018
European committee of social rights “Follow-up to decisions on the merits of collective complaints” Findings 2020
www.documentazione.info “Il testo della legge 194 sull’aborto”
www.open.online “Perché le università possono imporre l’obiezione di coscienza”



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