DONNE E POLITICA

DONNE E POLITICA

A che punto siamo?

Da pochi giorni si sono concluse le elezioni amministrative che hanno visto andare alle urne cittadini di 1.192 comuni appartenenti alle Regioni a statuto ordinario e del Friuli Venezia Giulia.
Erano 12 milioni gli italiani che avrebbero dovuto votare, ma l’affluenza alle urne è stata soltanto del 54,65%.

Guardando ai candidati sindaci eletti al primo turno, emerge un dato eloquente: la totale assenza di donne Sindaco.
Già in termini di candidature, infatti, se si considerano i 6 capoluoghi di Regione chiamati al voto, sono state appena 18 su 73 le aspiranti sindache che diventano 30 su 162 se si considerano anche gli altri 14 capoluoghi di Provincia. Nessuna candidata, inoltre, nelle grandi città e nei capoluoghi è riuscita ad arrivare al ballottaggio o a vincere e solo in piccoli centri del Molise sono state elette 8 prime cittadine.

Quali le cause?
Basta lamentare un problema di natura culturale o si può andare oltre?

È innegabile il notevole progresso fatto negli ultimi decenni in termini di partecipazione e di presenza delle donne in politica sia a livello locale che nazionale, grazie anche al meccanismo delle quote rosa (che, però, lasciano pensare all’apertura alla partecipazione femminile più come all’adempimento di un dovere normativo che come all’espressione di una reale volontà inclusiva).

In Italia, la difficoltà di intraprendere un percorso politico va ascritta principalmente a un sistema poco impegnato sul piano della formazione della classe dirigente e piuttosto proiettato alla ‘raccolta’ occasionale dei candidati. Ciò vale per tutti, uomini e donne, perché con la chiusura delle scuole di politica, ma anche dei circoli territoriali, diviene chiaramente difficile appassionarsi e vivere la politica.
Questo, di fatto, in molti casi impedisce un cambio generazionale adeguato. Delegare tutto al web o a scelte centralizzate dei partiti condiziona non poco la crescita di nuove leve, senza distinzione di sesso, in grado di portare linfa nuova ed idee.
Si può parlare in tal senso di carenze di opportunità che colpiscono in modo trasversale tutti.

In tale contesto si innesta il problema dell’inclusione femminile.
Si insiste sul problema della parità e si perde di vista quello dell’equità nelle opportunità di accesso.

La questione di fondo è strutturale: le regole per le pari opportunità ci sono e la loro applicazione ha portato dei risultati, ma questa parità, di fatto, non arriva a mettere in atto degli strumenti redistributivi e a considerare le condizioni reali di partenza delle donne.

La competizione è formalmente aperta, e tuttavia non tutti hanno gli stessi strumenti per partecipare.
Questo riguarda sia un reale ricambio generazionale nel mondo della politica, sia un maggior impegno del mondo al femminile in questo ambito, scartato, troppe volte, con troppa fretta, perché non valorizzato come impegno sociale.

L’attivazione di un percorso di coinvolgimento davvero capace di premiare il merito attraverso la valutazione attiva della partecipazione diviene nodale per un cambiamento reale.
La questione imporrebbe, a monte, di
– lavorare a piani di redistribuzione dei lavori di cura, pubblici e privati, riportando il focus su strumenti come i congedi di paternità;
– lavorare sui programmi scolastici affinché il cambiamento e la lotta agli stereotipi parta dalle scuole;
– creare all’interno dei partiti un percorso di formazione con programmazione di crescita culturale e politica della nuova squadra dirigente;
– promuovere sondaggi, osservatori statistici, con risultati divulgati periodicamente per sensibilizzare le comunità;
– organizzare convegni e conferenze, per alimentare discussione e confronto, così da dare al cambiamento una direzione più possibile vicina alle esigenze della popolazione.



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