DONNE E SVILUPPO SOSTENIBILE

DONNE E SVILUPPO SOSTENIBILE

Per una nuova ‘cultura del limite’

In un mondo costruito sulla logica del profitto, la Natura è una risorsa da sfruttare. Da fonte della Vita, l’Ambiente di fa fonte di conflitto e motore di condotte scellerate.
Ci si accorge della portata di gesti irresponsabili soltanto quando l’ecosistema si ribella.

Più ragionevole sarebbe ripristinare la cultura del limite, verso una rinnovata consapevolezza della fragilità degli equilibri. Specie di quello tra etica della responsabilità ed esigenze di sviluppo (attuali e future).

Da sempre, migliori portatrici del c.d. senso del limite sembrano essere le donne, per la più spiccata propensione a gestire il tempo, creatività, immaginazione, capacità di dare solidità alle relazioni. In qualche modo, questo ha a che fare anche con la salvaguardia dell’ambiente.

Dal 1962, anno in cui l’americana Rachel Carson mise in guardia il mondo sul pericolo dei pesticidi, le donne hanno svolto un ruolo fondamentale all’interno del movimento ambientalista mondiale.
Nel 1988, la Commissione Mondiale su Ambiente e Sviluppo, con a capo la Prima Ministra norvegese, Gro Harlem Brundtland, ha pubblicato il rapporto “Il Nostro Comune Futuro”, dal quale è emerso che le crisi sono frutto di pratiche di sviluppo non sostenibili e di politiche finanziarie che contribuiscono a far aumentare il gap tra Nord e Sud e le donne rappresentano la maggioranza dei poveri e degli analfabeti di tutto il mondo.
Diversi gruppi femminili hanno partecipato alla preparazione dell’Earth Summit tenutosi a Rio De Janeiro, ottenendo che l’accordo finale prevedesse un capitolo dedicato al tema delle donne e dello sviluppo sostenibile. Il Summit di Rio, così come la Conferenza sui Diritti Umani, il Social Summit e la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne, hanno focalizzato il lavoro delle Nazioni Unite in merito ad Ambiente, popolazione, diritti umani, povertà e differenza tra sessi.

Poter contare sulle capacità delle donne e sulla loro piena partecipazione, insomma, rappresenta uno dei fondamenti della pace e di un ritrovato sviluppo sostenibile.

Eppure, ancor oggi, le donne non sono adeguatamente rappresentate nei processi decisionali relativi allo sviluppo territoriale, nemmeno in quelli che riguardano, nello specifico, l’Ambiente.

Quando si parla di sostenibilità, bisognerebbe tener conto anche delle pari opportunità di crescita tra uomini e donne in ambito sociale ed economico.
L’indice di crescita di una città, di uno Stato, quindi una società, non può più essere rappresentato esclusivamente dal Pil, ma vanno considerati nuovi stili di vita, le capacità e le opportunità fornite, ossia quelle che l’economista Amartya Sen definisce “libertà sostanziali”: tasso d’istruzione, livello di salute, buona occupazione, qualità ambientale e sociale, assenza di discriminazioni e il ritorno ad una democrazia partecipata.

In quest’ottica, diventa improrogabile promuovere una cultura di genere, che abbia alla base lo scopo di raggiungere una reale uguaglianza di opportunità tra donne e uomini. Un ambiente sano può essere di grande aiuto ed avvantaggiare la condizione della donna.

In caso contrario, sono proprio le donne a risentire maggiormente del degrado ambientale.
Basti pensare che la deforestazione o la contaminazione delle acque accrescono, in determinate zone del Pianeta, il tempo che le donne impiegano a reperire legna da ardere o acqua potabile, o la dispersione di pesticidi e sostanze chimiche, soprattutto negli ambienti urbani, che penetrano nei tessuti e nel latte, in caso di maternità, e trasmessi ai neonati.



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