Fotovoltaico e agricoltura

Fotovoltaico e agricoltura

Una pianificazione incompleta

Una definizione ufficiale di ‘agrivoltaico’ non esiste e manca un quadro normativo di riferimento chiaro.
Solo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza si opera un riferimento a una possibile sinergia tra fotovoltaico e agricoltura.

Sulla scia dei traguardi delineati dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), il PNRR ha, infatti, espressamente inserito la realizzazione di impianti agro-voltaici tra le iniziative da attuare nel contesto della transizione ecologica al fine di raggiungere la completa neutralità climatica e lo sviluppo ambientale sostenibile.
Il riferimento è, in particolare, alla ‘missione M2C2, investimento 1.1.’, denominato ‘sviluppo agro-voltaico’, il cui obiettivo è installare a regime una capacità produttiva da impianti agro-voltaici di 2GW, che produrrebbe circa 2,500 GWh annui, con riduzione delle emissioni di gas serra stimabile in circa 1,5 milioni di tonnellate di CO2.
La missione M2C2 (che dovrebbe ammontare a oltre 1 miliardo di euro) si pone, inoltre, il fine di rendere più competitivo il settore agricolo, riducendo i costi di approvvigionamento energetico e migliorando al contempo le prestazioni climatico-ambientali.

L’interesse generale è enorme, perché in questo momento l’emergenza climatica, la siccità, la dipendenza energetica rendono evidente che sono ormai improcrastinabili l’abbandono dei combustibili fossili e del gas importato e il passaggio all’impiego di fonti di energia rinnovabile.
Tuttavia, in Italia non sono state ancora create le condizioni per operare l’auspicata transizione energetica: l’applicazione dei sistemi agrivoltaici impone diversi requisiti alla produzione agricola e alla sua gestione tecnica; la struttura di montaggio degli array deve essere adattata ai requisiti delle macchine agricole utilizzate, e i pannelli fotovoltaici devono essere sollevati fino a un’altezza adeguata a permettere il passaggio delle macchine agricole convenzionali. Per la coltivazione dei cereali e l’utilizzo di grandi mietitrici combinate è necessaria una distanza di almeno 4-5 m. Per evitare la perdita di terreno utilizzabile, la distanza tra i pilastri deve essere adatta alle distanze di semina e alle larghezze di lavoro delle macchine. Diverse modifiche dovrebbero essere previste per minimizzare le alterazioni delle condizioni microclimatiche.

Sebbene vari siano stati gli interventi normativi introdotti negli anni per promuovere uno snellimento delle procedure amministrative, l’Italia non ha ancora realizzato una procedura di applicazione online e i tempi relativi alle richieste sono ancora troppo lunghi.
Il costo delle energie rinnovabili non è determinato solo dalle risorse eoliche, solari, di biomassa o idriche; i costi dei progetti sono determinati anche dai costi amministrativi e di capitale. Le complicate procedure di autorizzazione, la mancanza di sportelli unici (un’unica agenzia per tutte le procedure di autorizzazione, certificazione e licenza), le procedure di registrazione e i processi di pianificazione possono richiedere mesi o anni e aumentare il rischio di fattibilità del progetto.

In questo panorama, l’agrivoltaico potrebbe rappresentare una svolta importante per l’efficientamento energetico, e dunque è necessario che siano introdotte norme adeguate, chiare ed uniformi che permettano una realizzazione degli impianti corretta e trasparente, anche al fine di prevenire approcci speculativi rischiosi per la continuità dell’attività agricola.
La ricerca di un equilibrio tra redditività dell’installazione fotovoltaica e produzione agricola deve collocarsi all’interno di un piano aziendale di coltivazione, che assicuri e vincoli l’azienda agricola a non disperdere la sua base produttiva (il margine economico della produzione fotovoltaica potrebbe rendere la ‘coltivazione’ di pannelli eccessivamente competitiva rispetto alle altre produzioni aziendali), ma che allo stesso tempo valorizzi l’impiantistica fotovoltaica come infrastruttura aziendale, particolarmente vocata a presidiare sia gli investimenti produttivi che quelli in ‘patrimonio naturale’ che l’azienda è in grado di attivare, specie quando tali investimenti, realizzati con gli incentivi statali, non presenterebbero, al venir meno del sussidio, una redditività propria e quindi verrebbero abbandonati al termine del periodo di sostegno economico.
Di contro, l’incertezza normativa del mercato italiano delle rinnovabili in tema di incentivi e prospettive compromette di fatto la realizzabilità di molti progetti.

In un contesto come questo, solo un ristretto numero di cittadini sarà disposto da subito a premiare l’energia pulita pagandola un po’ di più, sapendo però che costerà di meno, anche in termini di costi sociali, alle prossime generazioni.



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