Guerra ed economia

Guerra ed economia

Maggiore attenzione per le fragilitàNon ci sono mai ragioni sufficienti a giustificare una guerra. Per questo non serve indugiare troppo sui motivi del conflitto in corso tra Russia e Ucraina per distribuire torti o ragioni.

Vale forse dedicare qualche riflessione agli incredibili effetti economici a livello globale, sebbene non sia nulla di paragonabile alla devastazione sul piano sociale e umano. Le vite perse sono centinaia di migliaia.
È vero però che, alla base degli attriti tra i Paesi in guerra, vi sono anche gli interessi delle imprese occidentali dei settori dell’energia e delle materie prime.

Il mondo occidentale ha adottato molte misure a carattere punitivo nei confronti della Federazione Russa.
In alcuni casi efficaci, come nel settore automobilistico, perché, in un solo anno, la produzione russa di automobili è calata del 97% e le automobili che vengono prodotte non possono essere dotate dei moderni dispositivi di sicurezza.
Certo, anche le aziende automobilistiche occidentali hanno pagato caro il ritiro dal mercato russo.
Allo stesso modo assai elevato per tutta l’Europa occidentale è stato l’aumento del prezzo del gas causato dalla interruzione delle forniture di gas provenienti dal quel territorio. La Russia ha intessuto rapporti con altri partner a cui fornire petrolio e gas, prevalentemente asiatici, con conseguente rialzo dei prezzi per la nostra Economia occidentale.
Per altro verso, le sanzioni alla Russia hanno favorito il mercato cinese, capace di accaparrarsi ingenti riserve energetiche proprio dalla Russia.
Anche l’importazione di GNL dagli Stati Uniti così come dal Qatar o dalla Nigeria ha sconvolto la nostra Economia.
La qualità del combustibile è minore e i costi sono più che raddoppiati.
Infine, la crisi energetica europea derivante dalle sanzioni alla Federazione Russa ha consentito alla Tunisia, la cui economia è in profonda crisi, di generare ingenti profitti dalla vendita all’Italia di gas e petrolio.
Per vero, alcuni sostengono che poco meno del 50% del petrolio venduto dalla Tunisia provenga, mediante intermediari, dai pozzi petroliferi russi. È prevista la costruzione di un nuovo gasdotto per il trasporto dell’idrogeno tra Tunisia e Italia così come il raddoppio del gasdotto tap tra Albania e Italia.
Il risultato di tutti gli sconvolgimenti in atto è stato l’aumento dell’inflazione, in uno all’aumento dei costi di approvvigionamento di gas e delle materie prime.
Conflitti, poi, sono sorti per lo sfruttamento di miniere di litio, minerale indispensabili per la costruzione delle batterie delle nuove automobili elettriche.

Un problema, quello energetico, che ha bisogno di migliori risposte in termini di determinazione.

La rinuncia alla costruzione di una nuova fabbrica di batterie per parte di Italvolt a Scarmagno sulla ex area Olivetti per gli alti costi di risanamento dell’area costituisce solo un esempio di un Paese, il nostro, che fa fatica a tornare a fare industria.
Così, gli impianti produttivi “energivori” come le vetrerie, le fonderie,…, chiudono o delocalizzano in Paese con costi della mano d’opera più bassi, con costi energetici minori e con minori tutele per i lavoratori e per l’ambiente.
Il rinnovo dei processi produttivi impone spese non indifferenti e l’approccio rivolto a un’economia di mercato di tipo “circolare” certamente porterà ad avere vantaggi nel medio e lungo periodo richiedendo, però, ingenti risorse economiche iniziali e ulteriori costi per la formazione professionale di migliaia di nuovi addetti.

Serve un intervento significativo da parte dello Stato, un intervento orientato a garantire nuove misure a sostegno dei più deboli, paradossalmente i primi a essere colpiti dalla grave crisi internazionale.



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