IL CARCERE AI TEMPI DEL COVID-19

IL CARCERE AI TEMPI DEL COVID-19

Tra le ‘tragedie nella tragedia’ procurate dalla recente fase emergenziale è quanto accaduto nelle carceri italiane, dove, tra disordini e proteste, è stato dato di registrare ben quattordici morti.

A tal riguardo, il Garante Nazionale delle Persone private della Libertà, dott. Mauro Palma, nella relazione presentata al Parlamento, ha dato conto del difetto di comunicazione e comprensione alla base delle proteste e relativamente alle misure emergenziali adottate a livello centralizzate. Nella percezione collettiva, si sarebbe trattato di un divieto assoluto e sine die di avere contatti con l’esterno e di definitiva interruzione dei percorsi riabilitativi in atto, con conseguenti revoca di tutti i colloqui con i parenti, di semilibertà, permessi, o qualsivoglia attività lavorativa che implicasse l’interazione con esterni.

Il problema, non di oggi, del sovraffollamento delle carceri e le differenze socio-culturali tra i detenuti hanno contribuito in negativo, incidendo su uno stato psicologico già fortemente provato dalla reclusione stessa.

La condizione di angoscia generatasi, nelle parole del Garante, “è ben diversa dalla paura perché non individua l’oggetto del proprio sentimento e, quindi, non può neppure esorcizzarlo. Può determinare l’abbandonarsi”.

Ulteriore criticità poi è stata individuata nella connessione tra la garanzia di sicurezza e la finalità costituzionale della pena: il principio dell’esecuzione penale prevede la differenziazione di percorsi detentivi unitamente al mantenimento della qualità di vita nel carcere che dovrebbe essere il più umana possibile.

Il Garante ha sottolineato che “il contenuto della pena detentiva è la privazione della libertà e si va in carcere perché si è puniti e non per essere puniti”.

Quelle appena richiamate non sono opinioni personali o constatazioni prive di riferimento normativo, ma la traduzione del fondamentale principio sancito dall’art. 27, comma 3, cost., ai sensi del quale “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso d’umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Da qui, la funzione rieducativa che ogni pena deve assolvere. Il carcere deve restare luogo di rieducazione del reo ed a tal fine è necessario che in un ambiente, restrittivo della libertà personale, vengano comunque rispettati tutti i diritti fondamentali dell’uomo (dignità, salute, ecc.).

Il maggior isolamento forzato ha reso ancora più ostile un ambiente già difficile, ad alto rischio di contagio e con provazione della possibilità di svolgere tutta una serie di attività che in qualche modo contribuivano a creare una parvenza di quotidianità e di inclusione sociale.

La situazione rende impellente un intervento anche rispetto a vecchi problemi, oggi amplificati.

Andrebbe, anzitutto, rivisto e rimodulato il sistema delle misure cautelari rendendo le stesse maggiormente rispettose del precetto costituzionale di cui all’art. 27 cost., che codifica ed eleva a principio assoluto la presunzione di non colpevolezza dell’imputato sino a condanna definitiva. Troppe volte si assiste all’applicazione di misure cautelari detentive in difetto di reali esigenze o, addirittura, in assenza delle condizioni di applicabilità, al solo fine di anticipare la misura detentiva o per conseguire l’accertamento di fatto attraverso la collaborazione del soggetto sottoposto a misura cautelare.

Va riaffermata la primaria esigenza di potenziare le misure alternative alla detenzione carceraria cercando di elaborare e potenziare un catalogo di risposte dello Stato alle condotte delittuose che non veda nella reclusione il solo sbocco finale alle stesse. La rieducazione del reo ed il suo reinserimento sociale vanno perseguiti e meglio realizzati proprio attraverso l’elaborazione di un sistema di misure alternative alla detenzione carceraria.

Si aggiunga una seria opera di ristrutturazione, unita all’ampliamento, dell’edilizia carceraria e penitenziaria, che comprende, oggi, edifici angusti e sovraffollati, vetusti ed insalubri. La detenzione in strutture carcerarie deve avvenire nel rispetto di condizioni umane e dignitose per chi si trova a dover espiarvi un periodo di reclusione. Al 28 febbraio di quest’anno erano presenti nelle carceri italiane, 61.230 detenuti a fronte di 50.931 posti disponibili. Si tratta, quindi, di almeno 10.000 persone ristrette oltre la capienza regolamentare e, dunque, in una situazione di sovraffollamento.

A tal proposito, attraverso la previsione di una sottoposizione volontaria alla detenzione domiciliare per i c.dd. condannati meno pericolosi si potrebbe contribuire a ridurre drasticamente il numero di detenuti per reati di minore impatto sociale e per pene detentive della durata inferiore all’anno.

Di GIANLUCA PIZZUTI



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