La crisi della formazione

La crisi della formazione

Possibili cause e soluzioni

Da più di venti anni, le indagini statistiche rivelano che la preparazione media degli studenti italiani è tra le più basse nel pa-norama dei Paesi Ocse: al momento dell’iscrizione all’Università, gli studenti non sono forniti del bagaglio culturale necessario per affrontare la nuova sfida. È anche per questo che una buona parte di quelli universitari decide di abbandonare gli studi già dopo il primo anno.

Analizzando i dati diffusi di recente dal Ministro dell’Istruzione e del Merito relativi all’a.a. 2021/2021, emerge una evidente crisi: il 50% di chi arriva al diploma manifesta un’insufficienza di base sui livelli di preparazione e 1 studente su 10 è sprovvisto finanche delle competenze minime. Il numero di studenti che hanno abbandonato l’Università dopo il primo an-no è cresciuto fino al 7,3%, (a fronte del 6,1% di due anni prima).
Desta parimenti sconforto constatare che, nel novero degli alunni dell’ultimo anno delle superiori, a giugno 2022, coloro che hanno superato l’esame di Stato hanno espresso in italiano e matematica un livello che non raggiunge quello base (il 48% non arriva al livello 3).

Il trend continua a scendere e nel Mezzogiorno la situazione è ancora più negativa: coloro che non arrivano al livello base in italiano sono più del 60% in Regioni come Campania, Calabria , Sicilia, e in matematica la situazione è ancora più desolante, atteso che il livello 3 non è stato raggiunto da ben il 70% in 4 Regioni (alle 3 sopra menzionate, si aggiunge la Sardegna).

È evidente anche che le fragilità culturali dei nostri studenti non sono equamente distribuite fra tutti gli strati sociali, dal momento che tendono a concentrarsi fra i figli delle famiglie meno abbienti e meno acculturate.

Negli ultimi anni, nonostante questi dati sconcertanti, si è fatto davvero poco per invertire la tendenza.
Abbiamo invece assistito a un fare riformatore a tratti inconcludente, incapace anche soltanto di mettere in campo adeguate risorse economiche. Oltre alle inadempienze politiche e degli organi deputati, forte incidenza negativa sulla efficacia dell’attuale sistema formativa ha avuto lo smantellamento degli ultimi anni della scuola e della sanità, due pilastri fondamentali del welfare.

I dati diffusi di recente che attestano la inefficacia dell’attuale sistema formativo inducono a porsi degli interrogativi, a capire l’eziologia dell’inarrestabile trend, e impongono l’esigenza di individuare soluzioni concrete, anche con una certa urgenza.
Le cause di questa situazione desolante sono di certo molteplici ed eterogenee.
In primo luogo, sicura incidenza ha avuto la pandemia, che ha relegato gli studenti a casa interrompendo le relazioni in presenza, sostituite da quelle virtuali, così facendo venire meno la socialità, elemento imprescindibile per lo sviluppo psicologico e culturale.
Sicura incidenza hanno poi avuto la scarsa sensibilità mostrata dalla politica per la dimensione pedagogica, la graduale perdita di autorevolezza e autonomia degli insegnanti e la burocratizzazione del loro operato, il mito del digitale, il dilagare di atteggiamenti iperprotettivi e garantisti verso gli alunni e, nel processo di aziendalizzazione che ha coinvolto scuole e università, i meccanismi premiali, che hanno finito per penalizzare i canonici processi di apprendimento favorendo l’adeguamento degli standard alla sempre più modesta formazione di base.
Ma la crisi del sistema formativo ha radici strutturali collegate all’indebolimento del sistema produttivo e alle strategie delle imprese italiane, sempre meno attente all’innovazione e sempre più inclini al reclutamento di manodopera poco qualificata e a basso costo.

È conseguenza invitabile, in tale scenario, che lo studio e la formazione perdano di valore, in un contesto caratterizzato, tra l’atro, da altissima disoccupazione giovanile, da precarietà e basse retribuzioni, negatività che inducono molti studenti brillanti a fuggire all’estero.

Occorrerebbe
– promuovere attività di tutoraggio durante gli ultimi anni delle superiori, finalizzate a supportare gli studenti nell’apprendimento delle discipline in cui si registrano lacune;
– conferire agli insegnanti strumenti e conoscenze per individuare i casi di disagio scolastico, in molti casi espressione di un disagio sociale ed esistenziale, specie per quei ragazzi che vivono una situazione di fragilità che incide pesantemente sulla qualità della loro esperienza scolastica e di vita;
– intensificare le campagne di orientamento finalizzate alla individuazione delle proprie specifiche competenze e abilità e a conferire agli studenti la possibilità di fare scelte consapevoli relative al percorso di studio universitario da intraprendere ;
– incrementare la partecipazione dei genitori durante gli anni delle superiori con frequenti momenti di incontro e di confron-to secondo un calendario stabilito ogni anno atteso che una buona relazione tra e scuola induce gli alunni a ottenere migliori risultati di apprendimento, promuovere maggiore autoregolamentazione e benessere generale, ridurre l’assenteismo;
– intensificare il supporto psicologico negli ultimi anni delle superiori e nei primi anni universitari per fronteggiare il problema della dispersione scolastica e dell’abbandono dell’Università a fronte di insuccessi.

I problemi descritti hanno radici profonde e, per risolverli, non basteranno di certo i comportamenti virtuosi di singole scuole e Università, ma occorrerà pianificare interventi mirati, puntando sulla programmazione, sull’azione sinergica e sulla sen-sibilizzazione.



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