PRODURRE BIO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

PRODURRE BIO PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

Come valorizzare le opportunità

Le produzioni biologiche sono regolamentate dal Regolamento 834/2007/CE e dagli applicativi Regolamenti 889/2008/CE 1235/2008/CE. Inoltre, prosegue l’iter del disegno di legge n. 988, “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico”, dopo l’approvazione avvenuta alla Camera dei deputati il 11 dicembre del 2018, è attualmente al Senato dove proseguono i confronti con le parti sociali.

L’Europa accelera sul biologico, in linea con le indicazioni del nuovo Patto ambientale (Agenda 2030) che punta a ridurre sempre più l’uso della chimica in agricoltura. Tra gli obiettivi: incentivare ulteriormente la domanda di prodotti biologici, già da anni in forte crescita, preservando al tempo stesso la fiducia dei consumatori; incoraggiare l’aumento delle superfici destinate alla produzione biologica, e rafforzare il ruolo del settore nella lotta contro i cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità. Sono i tre pilastri su cui poggia il piano d’azione per l’agricoltura biologica promosso dalla Commissione europea, sul quale Bruxelles ha avviato una consultazione pubblica che si chiuderà il 27 novembre 2020 per raccogliere le osservazioni di cittadini, autorità nazionali e operatori.

Tutto questo in vista dell’obiettivo stabilito dal Green Deal europeo di portare, nel giro dei prossimi 10 anni al 25% le superfici coltivate a biologico nell’Unione. Per farlo, in un settore nel quale l’Italia è già leader con oltre il 15% dell’intera superficie agricola dedicato a fronte di una media Ue del 7,5%, sarà intanto fissato a partire dal 2021 un budget specifico, pari a 40 milioni, da utilizzare nell’ambito dei programmi di promozione all’estero dei prodotti europei.

Intanto, però, contestualmente all’avvio della consultazione pubblica, Bruxelles ha proposto di rinviare di un anno l’entrata in vigore, in calendario all’1 gennaio 2021, della nuova normativa in materia di agricoltura biologica. Si tratta del regolamento approvato nel 2018 dopo un lungo braccio di ferro e da più lato contestato perché, tra le altre cose, non riconosce l’obbligatorietà dei vincoli sui residui di fitofarmaci. Il timore è che questo penalizzi economie agricole accorte e, in qualche modo, in particolare la leadership e l’eccellenza del biologico Made in Italy. Il regolamento prevede inoltre una razionalizzazione dei controlli, la possibilità di ottenere certificazioni di gruppo per i piccoli produttori e il rispetto degli standard Ue per i prodotti importati, oltre a una più netta separazione per le aziende miste.

«Sebbene il nuovo regolamento costituisca una solida base – scrive l’Esecutivo Ue – è necessario che anche il diritto derivato, ancora da adottare, sia altrettanto resiliente».

La pandemia ha rallentato la messa a punto degli atti necessari e, pertanto, la Commissione ha deciso di proporre il rinvio, accogliendo la richiesta degli Stati.

Quanto al contesto nazionale, negli ultimi dieci anni l’Italia ha visto quasi raddoppiare le superfici coltivate a biologico (+76% dal 2010 secondo i dati Sinab-Nomisma), giunte a ridosso dei 2 milioni di ettari, pari al 15,5% della superficie totale, con 79mila aziende che operano in un mercato stimato in oltre 4 miliardi annui, di cui oltre la metà arriva dall’export. Con condizioni normative e una politica agricola comune adeguate potrebbe raggiungere agevolmente il 40% di superficie bio entro il 2030 e fare del sistema agroecologico un vero driver di sviluppo per rilanciare la nostra economia.

Il biologico cresce (+8% nella Ue) e vale 40 miliardi.
La media europea di spesa in prodotti biologici all’anno è di 76 euro procapite. I consumatori svizzeri e danesi quelli che spendono di più (312 euro)
L’Italia è il Paese Ue con più operatori (sono 69317), ma nel 2018 si registra il sorpasso della Francia per superfici coltivate con metodo biologico (2 milioni di ettari), come già rilevato da Eurostat. La Spagna resta leader Ue per superfici a bio con 2,2 milioni di ettari. L’Italia è dunque terza con 1,9 milioni su un totale di 13,8 milioni di ettari (il 7,7% rispetto alla superficie coltivata totale). Una curiosità: il paese più votato al bio in Europa e nel mondo è il Liechtenstein che ha il 38,5% di coltivazioni biologiche rispetto alla superficie totale agricola disponibile, seguito dall’Austria (24.7%).

Guardando al prossimo futuro, un’opportunità arriverà dalla nuova Pac, per 344 miliardi dal 2023 al 2029. Un’occasione storica per la transizione ecologica. Ma molti dubbi avvolgono i negoziati.

È un parere cruciale per l’agricoltura europea quello che a dicembre 2020 dovrà esprimere l’Europarlamento. Nelle mani degli eletti a Strasburgo ci sarà infatti un pezzo importante del destino della politica agricola comune (Pac), in odor di riforma ormai da anni e giunta finalmente al momento della verità. Sono passati poco più di due anni da quando, nel luglio 2018, la Commissione europea ha pubblicato la sua proposta di revisione settennale del sistema di finanziamenti al settore primario, ma nel frattempo è cambiato il mondo.

La pandemia globale ha sconvolto il sistema economico contemporaneo e tutta la politica sottostante, spingendo le istituzioni comunitarie e nazionali a rivedere le loro priorità in molti campi. Quello agricolo è uno di questi: l’entrata in vigore della Pac 2021-2027, complici la crisi Covid e i già difficili negoziati sul bilancio europeo, è slittata al 2023. L’Unione ha invano tentato di trovare un accordo prima della scadenza del settennato 2014-2020, ma la Pac ha raccolto enormi critiche perché plasmata sui bisogni dell’agribusiness più che della conversione del settore in chiave ambientale. Nel frattempo è stato lanciato il Green Deal, seguito dalle sue principali politiche di indirizzo, come la strategia “Farm to Fork” e quella sulla biodiversità. Alla luce di questo scenario, anche la proposta di riforma della Pac è stata rivista dall’esecutivo.

Per cambiare rotta servirebbe vincolare almeno il 40% dei pagamenti diretti a misure ambientali, perché la politica agricola non può essere sganciata dal disegno generale del Green Deal. Serve maggior chiarezza sui vincoli di destinazione dei finanziamenti.

Sarebbero opportuni altresì

– più adeguati meccanismi a rafforzamento della leale concorrenza e per l’eliminazione dei conflitti di interesse degli organismi di controllo;

– una banca dati delle transazioni bio per combattere tempestivamente le frodi;

– la riorganizzazione dei sistemi di controllo che confermino il Ministero dell’Agricoltura a capo dell’organizzazione dei controlli e definiscano gli enti territoriali cui spetta la vigilanza e il controllo sugli organismi di controllo (con costi a carico non delle aziende agricole ma degli stessi enti territoriali di vigilanza).

Di DARIO POLIZZI

 

 

 

Fonti:

Sole24Ore.it

FederBio.it

affariinternazionali.it



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