LA SOSTENIBILITÀ INFRASTRUTTURALE

LA SOSTENIBILITÀ INFRASTRUTTURALE

Occorre un cambio di prospettiva

Innovazione tecnologica, nuovi standard costruttivi e, purtroppo, crisi pandemica hanno sollecitato maggiore attenzione per lo sviluppo sostenibile delle infrastrutture, per il progresso di economia, società, istruzione e sanità.
È cresciuta la consapevolezza dell’impatto che le grandi opere possono avere sull’ambiente e sulla vita delle persone e, per questo, sono stati avviati processi di valutazione dei livelli di sostenibilità di costruzioni e infrastrutture in termini di consumi, emissioni e impatto ambientale.

Costruire infrastrutture sostenibili significa sviluppare un sistema di supporto ai servizi in armonia con ambiente e paesaggio. Significa garantire rispetto a persone, lavoro e sicurezza durante la fase di costruzione, migliorare la vita delle comunità sotto un profilo economico ma anche sociale, valorizzare il contesto interessato dai lavori e pensare a un sistema di manutenzione e cura in grado di assicurare alle grandi costruzioni la capacità di resistere, adattarsi e migliorarsi nel tempo a eventi noti, come un terremoto, oppure nuovi, come il cambiamento climatico.

Per tutto questo, è necessario individuare la relazione tra ciò che le infrastrutture creano, collegano, disegnano e modellano, al fine di reinterpretarle in funzione del territorio e considerare le due parti integrate in una strategia d’insieme. Infatti, lo sviluppo sostenibile delle infrastrutture passa necessariamente attraverso l’interpretazione sistemica e strategica di interi territori, con l’obiettivo di garantire l’efficienza di quanto viene costruito ma anche la sopravvivenza dell’ecosistema in cui le infrastrutture sono inserite.
Realizzare infrastrutture sostenibili significa, inoltre, prenderne in considerazione la dimensione socio-culturale, consapevoli della loro influenza su qualità e stili di vita.

Vanno identificati, insomma, i bisogni ai quali le infrastrutture sono chiamate a rispondere e che possono essere ricondotti ad alcuni archetipi: paesaggio, acqua, rifiuti, trasporti, energia e informazioni.
Il loro ruolo, siano esse infrastrutture fisiche, tecnologiche, stradali o informatiche, risulta quindi strategico e permette di modificarne il fine ultimo. Dall’essere unicamente percepite come mezzi di trasporto, veicoli di informazioni o sostegni tecnologici, le infrastrutture hanno la possibilità di trasformarsi in un vero e proprio sistema per rileggere, conoscere e vivere al meglio il territorio e le città.

Ed ecco che prende forma un nuovo scenario in cui lo sviluppo di reti di infrastrutture sostenibili diviene opportunità di sviluppo economico e sociale.

Per quanto riguarda le reti di trasporto, ad esempio, la sostenibilità viene ricercata attraverso la riduzione del traffico, il calo dei veicoli inquinanti, la promozione della mobilità elettrica e ibrida e lo sviluppo di quella alternativa (sharing, ciclabile, pedonale).
Per le reti energetiche, invece, la trasformazione ‘sostenibile’ punta a utilizzare l’idroelettrico, l’eolico, il fotovoltaico, le biomasse o il geotermico per produrre energia, a diffondere il teleriscaldamento, a promuovere incentivi per il risparmio energetico e a modernizzare gli impianti di illuminazione pubblica.
Si parla anche di reti ambientali ‘sostenibili’ per fare riferimento alle reti idriche, agli impianti di depurazione, alla disponibilità di verde urbano e alle reti di raccolta differenziata dei rifiuti.

È possibile ottimizzare e migliorare le infrastrutture e i servizi ai cittadini rendendoli più efficienti anche mediante l’utilizzo delle tecnologie digitali e più in generale dell’innovazione tecnologica.
La definizione di Smart City, coniata dall’Unione europea, prevede città che, attraverso investimenti in infrastrutture tecnologicamente avanzate, si trasformano divenendo economicamente sostenibili, volano di una maggiore qualità della vita e di un uso più razionale delle risorse; città che si rinnovano a partire dalle strutture urbane già esistenti attraverso l’impiego delle tecnologie al fine di ottenere economia, popolazione, governo, ambiente e mobilità intelligenti.
Il limite degli attuali modelli di sviluppo urbano sta, però, nel rifiutare alcune componenti necessarie alla vita cittadina e nasconderle, espellerle, addirittura ometterle. Si potrebbe invece pensare che tutti i paesaggi dello scarto e i dispositivi necessari al funzionamento urbano, come discariche, inceneritori, grandi piattaforme tecnologiche, tracciati stradali e ferroviari rappresentino siano, invece, uno strumento di crescita e un’opportunità di ripensamento di interi territori.
Una città intelligente, infatti, trasforma le infrastrutture di servizio in luoghi di pregio; sfrutta i vuoti e manufatti abbandonati per reinserire funzioni che tradizionalmente respinge (discariche, parcheggi, sistemi di smaltimento acque, rifiuti, sistemi di produzione di energia), integrandole con le nuove attività di cui ha bisogno per rispondere ai problemi contemporanei.

Per cogliere la grande opportunità della Next Generation Eu, con la sua stretta correlazione con il Green Deal, serve una visione del tutto nuova, che sappia porre al centro di una chiara e concreta strategia strumenti in grado di raggiungere gli obiettivi che l’Europa chiede: mettere al centro dello sviluppo economico e sociale sostenibilità e resilienza.
In questo scenario, un peso non secondario è rivestito da un piano infrastrutturale coerente e che sappia individuare le priorità coniugando sostenibilità, resilienza, maggiore ricchezza e maggiore benessere.

Si sa che bisogna «lasciare ai propri figli un ambiente migliore di come lo si è trovato» e che «il mancato rispetto dell’ambiente può mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza umana».
Frasi che si leggono spesso sui giornali e si ascoltano un po’ ovunque, ma che alla fine non vengono davvero dalle coscienze.

E allora che fare per accelerare questa transizione?

È indispensabile un cambio di prospettiva.
Se il green si potesse identificare con il business, diventerebbe profittevole fare scelte coerenti con il rispetto dell’ambiente e viceversa diventerebbe oneroso mantenere un atteggiamento opposto.
Introdurre obblighi normativi per il mercato solitamente funziona poco e crea diseconomie.
Bisognerebbe invece individuare e favorire modelli di business virtuosi, che diano degli effettivi vantaggi economici oltre che ambientali, incentivandone l’utilizzo, anche con sovvenzioni o sgravi fiscali. Un meccanismo che, come già avvenuto in passato, consenta di avere per il Sistema Italia un computo complessivo vantaggioso.
Quello che è certo è che il provvedimento di incentivazione deve prevedere un controllo rigoroso del risultato, misurato e con una evidenza oggettiva del suo raggiungimento. La certificazione di terza parte indipendente può giocare un ruolo fondamentale in questa logica.

Insomma, l’ambiente può essere un importante asset per lo sviluppo, purché lo si utilizzi in modo rispettoso ed etico.



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