LA TUTELA DEL PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO E AMBIENTALE

LA TUTELA DEL PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO E AMBIENTALE

Una ricognizione normativa

La Costituzione italiana ha posto la tutela del patrimonio storico-artistico tra i principi fondamentali dell’ordinamento. Secondo l’art. 9, «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione».

La disposizione, come di recente ritoccata, ha in sé un richiamo al passato attraverso il riferimento al patrimonio storico-artistico, al presente in virtù della tutela del paesaggio e della cultura, e al futuro mediante la promozione della ricerca scientifica e tecnica.
In origine, i Padri costituenti, in reazione alle derive totalitarie e alla devastazione della guerra, vollero investire sulla cultura e sul progresso scientifico quali strumenti di emancipazione dei Popoli e motore per la rinascita socio-economica del Paese. Ed è per questa via che sarebbe opportuno procedere.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione (l.cost. n. 3 del 2001), lo Stato ha competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, onde dare una maggiore uniformità e omogeneità all’azione sul territorio nazionale. Questo non esclude che le Regioni possano introdurre delle misure più rigorose e più adatte ai diversi contesti territoriali, in attuazione del principio di differenziazione e sussidiarietà. L’art. 117, comma 3, pone, invece, tra le materie di legislazione concorrente la valorizzazione dei beni culturali e ambientali nonché la promozione e organizzazione di attività culturali. Infine l’art. 118, comma 3, prevede forme di intesa e di coordinamento tra Stato e Regioni.

Con il Testo Unico dei beni culturali (d.lg. n. 490 del 1999) si è tentato di fare ordine nella frammentarietà delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, comprendendo la legislazione nazionale e quella di derivazione internazionale ed europea.
Ma è con il d.lg. n. 42 del 2004 che nasce il primo Codice dei beni culturali e del paesaggio, il c.d. Codice Urbani. Diviso in cinque parti e 184 articoli, e in abrogazione del precedente Testo Unico, la nuova raccolta punta al pieno recupero del paesaggio nell’ambito del patrimonio culturale (del quale oggi costituisce parte integrante grazie anche agli artt. 9, 117 e 118 cost.).

Il Codice punta su tre concetti chiave: la tutela, la conservazione e la valorizzazione.
È tutela ogni attività diretta a riconoscere, proteggere e conservare un bene del nostro patrimonio culturale affinché possa essere offerto alla conoscenza e al godimento collettivo; conservazione è ogni attività svolta con lo scopo di mantenere l’integrità, l’identità e l’efficienza funzionale di un bene culturale; valorizzazione è ogni attività diretta a migliorare le condizioni di conoscenza e conservazione del patrimonio culturale così da trasmettere i valori di cui è portatore.
Mentre la tutela è di competenza esclusiva dello Stato; la valorizzazione è svolta in maniera concorrente tra Stato e Regione, auspicabilmente con la partecipazione di soggetti privati

Sotto il profilo penalistico, lo scorso 23 marzo è entrata in vigore la l. n. 22 del 2022, di riforma delle disposizioni a tutela del patrimonio culturale. La direzione è stata quella di un tendenziale inasprimento del trattamento sanzionatorio.
La riforma, da un lato, riporta al Codice penale gli illeciti fino a ieri ripartiti tra Codice penale e Codice dei beni culturali, e dall’altro introduce nuove fattispecie di reato e innalza le pene edittali vigenti, in attuazione dei principi costituzionali, per i quali il patrimonio culturale, oltre quello paesaggistico, richiede una tutela ulteriore rispetto a quella riconosciuta alla proprietà privata. E infatti introduce aggravanti quando oggetto di reati comuni siano beni culturali.

Il Codice penale è novellato con l’aggiunta di un intero nuovo titolo (il Titolo VIII bis), che consta di 17 nuovi articoli, che puniscono 6 fattispecie delittuose: furto, appropriazione indebita, ricettazione, riciclaggio e autoriciclaggio e danneggiamento che abbiano ad oggetto beni culturali, stabilendo pene più severe rispetto a quelle previste per i corrispondenti delitti semplici.
A queste fattispecie si aggiunge poi l’illecito impiego, importazione e esportazione di beni culturali e la contraffazione.
In definitiva, i nuovi reati trovano specificazione nell’oggetto delle condotte, che è appunto il bene culturale, e siffatta specialità giustificherebbe, nella maggior parte dei casi, un incremento della pena edittale. In alternativa, sarebbe forse stato utile anche prevedere, più semplicemente, un’aggravante comune legata alla tipologia dell’oggetto dell’azione criminosa, evitando in tal modo di moltiplicare le fattispecie delittuose.
In ogni caso, oltre alla previsione di specifiche fattispecie di reato, la legge prevede altresì un’aggravante da applicare a qualsiasi reato che, avendo ad oggetto beni culturali o paesaggistici, provochi un danno di rilevante gravità.
La scelta di collocare le nuove regole nel catalogo dei delitti del Libro II del Codice penale sembra legata anche a esigenze di comunicazione del messaggio normativo; serve, cioè, ad affidare maggiore autorevolezza e conoscibilità alle norme, in vista di una migliore ed efficiente politica generalpreventiva.

L’auspicio è sempre che l’art. 9 cost. trovi piena attuazione sia grazie all’iniziativa virtuosa del singolo, perché il rispetto del patrimonio storico e artistico e del paesaggio è sintomo di senso civico, sia grazie all’azione della classe politica che attui azioni di sensibilizzazione e valorizzazione, a beneficio della collettività e delle future generazioni.



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