Nuovi investimenti in formazione professionale

Nuovi investimenti in formazione professionale

Verso una reale crescita occupazionale 

La Costituzione Italiana, con il suo art. 1 «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro», ricorda l’importanza dell’attività lavorativa e dell’occupazione come valori fondamentali per la realizzazione personale e del sistema economico e sociale del Paese.
Ma, in base agli ultimi dati Istat, del luglio 2023, rispetto al mese precedente, gli occupati diminuiscono e aumentano i disoccupati e gli inattivi. Se, da un lato, la disoccupazione sale del 7,6%, continua a crescere la difficoltà di reperimento segnalata dalle imprese, con coinvolgimento del 48% delle assunzioni programmate. Questi dati superano di 5 punti percentuali quelli di settembre 2022, con quote comprese tra il 60% e il 70% per le figure tecnico-ingegneristiche e gli operai specializzati.
Questo paradossale gap tra disoccupazione e mancanza di lavoratori qualificati è generato anche da una carenza formativa.

È un problema serio, considerando che, al 30 giugno 2023, la percentuale di giovani (tra i 15 e i 29 anni) disoccupati in Italia è del 21,3%.

Come si può restare a osservare questo piano per il disastro senza applicare delle azioni correttive adeguate nella piena responsabilità delle Istituzioni?

La formazione nelle PMI può essere finanziata con fondi specifici previsti dai programmi europei e in particolare dai fondi FSE (Fondi Sociali Europeo), erogati dall’Unione per la formazione attraverso le Regioni.
Sarebbe opportuno fornire direttamente alle aziende, a fronte di un impegno ad assumere i giovani, i fondi necessari per la formazione dei neo assunti, come forma di sostegno per poter consentire, ad esempio, ai giovani di raggiungere i luoghi ove è disponibile la formazione necessaria.

Trasferendo direttamente alle aziende i fondi FSE per la formazione, a fronte della presentazione di un progetto di formazione di giovani disoccupati e con la prospettiva di assunzione, si possono risolvere in un colpo solo due problemi: quello dell’occupazione dei giovani e quello delle aziende di reperire personale formato per le attività lavorative, aumentando così la competitività del sistema Paese.

Questa modalità operativa dovrebbe aiutare infatti a colmare il divario tra offerte di lavoro qualificate e mancanza di lavoratori che possano ricoprire quelle mansioni. Il deficit è la naturale conseguenza della preparazione teorica, che non sempre viene coadiuvata da una significativa esperienza pratica.
Coloro che entrano nel mondo del lavoro si sentono impreparati ad affrontare le sfide professionali anche dopo molti anni di studio e di costose specializzazioni. L’assenza di laboratori, macchinari e attrezzature nelle scuole necessari per la formazione in alcune aree del territorio limita la preparazione di una forza lavoro competitiva con poche prospettive di crescita economica e finanziaria della produttività italiana.
Sono sempre di più le famiglie che investono nello sviluppo delle abilità professionali all’estero, per aprire le porte a nuove opportunità.

Nel frattempo ci limitiamo a osservare il fenomeno come spettatori miopi, mentre il nostro patrimonio umano ed economico migra oltreconfine, incuranti delle conseguenze di un’assenza di strategia e lungimiranza.
Gli scenari geopolitici impongono un adeguamento delle risorse, con il rischio di stagflazione alle porte.

Per cambiare rotta è necessario applicare le normative già vigenti da un lato e riequilibrare la formazione professionale pianificando interventi mirati alle specifiche esigenze di ciascun settore.
I Fondi Sociali Europei per la formazione delle PMI possono rappresentare un importante strumento di facilitazione della crescita occupazionale.

In Italia, il FSE è gestito dall’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (ANPAL).
La normativa esiste e è ben concepita, ma se non viene applicata i fondi vanno solo a strutture certificate e che hanno presentato un progetto formativo. Una PMI non ha la capacità di farlo e quindi non accede ai fondi FSE.

Occorrerebbe muoversi su due fronti.
In primis, semplificare le procedure e poi verificare che la formazione sia adeguata e aggiornata alle esigenze delle aziende.
Come riscontrato negli accadimenti recenti, la formazione permanente è determinante anche dopo anni di esperienza perché mette il lavoratore in condizione di misurarsi attraverso una verifica e un riscontro costante per garantire la qualità della vita, della salute e della produttività stessa riportando l’attenzione sull’innovazione e mantenendo standard elevati di competenze in un mondo in continua evoluzione e sempre più automatizzato.

In conclusione, utilizzare il FSE nel settore della formazione professionale sarebbe un passo cruciale verso la creazione di opportunità formative di alta qualità e la preparazione adeguata delle nuove generazioni per un futuro di successo. Con questi interventi mirati non solo si favorirà la crescita economica, ma anche la costruzione di una società più equa e inclusiva, facendo sì che nessun talento venga sprecato.

L’impegno verso una formazione professionale avanzata e accessibile è un investimento nel futuro dell’Italia.



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