PER UNA SOCIETÀ ACCOGLIENTE

PER UNA SOCIETÀ ACCOGLIENTE

Convivenza inclusiva come unica opzione

Nell’idea di legalità trova espressione, secondo il sentire comune, il rispetto di leggi e principi fondamentali. Ma la legalità è molto di più. Rappresenta «un’esigenza fondamentale della vita sociale per promuovere il pieno sviluppo dell’individuo e la costruzione del bene comune».
La legalità è l’anello di congiunzione tra responsabilità individuale e giustizia sociale, tra l’io e il Noi.
Per questo, non si può parlare di ‘legalità’ senza soffermarsi sul valore dell’uguaglianza e, quindi, di inclusione.

Iniziativa virtuosa, che unisce legalità, merito e inclusione sociale, è il Progetto ‘Controllo di Vicinato’ (da qui, CdV), di prevenzione della crimininalità, basato sulla partecipazione attiva dei cittadini residenti in un certo territorio e sulla collaborazione con le Forze dell’Ordine locali.
Introdotto in Italia nel 2009 grazie all’opera di Gianfranco Caccia (successivamente co-fondatore dell’omonima Associazione Controllo di Vicinato), da anni svolge un ruolo importante di formazione e coesione sociale, promuovendo l’educazione alla convivenza, la solidarietà, il rispetto della legalità, il dialogo tra cittadini e Istituzioni, l’integrazione e l’inclusione sociale. L’attività svolta dai volontari del Progetto CdV ha il merito di coinvolgere i singoli individui per far riscoprire uno spirito comunitario, scuoterli dal conforto dell’isolamento, una delle cause principali di lacerazione del tessuto sociale.
Negli ultimi anni, però, la realtà è diventata sempre più complessa.
Si opera in Comuni di dimensioni modeste, nei quali anche la minima variazione incide sugli equilibri generali. Tra i fattori di maggiore incidenza, l’aumento di cittadini residenti di origine straniera, che spesso modifica la fisionomia di interi quartieri e genera tensioni sociali. Occorre reciproca conoscenza e rispetto per contribuire concretamente al processo di integrazione degli individui stranieri presenti su territorio nazionale e per poter parlare davvero di ‘Comunità’.

Ma cos’è davvero l’inclusione?
Può esistere legalità senza di essa?

Patrizia Gaspari, docente dell’Università di Urbino, definisce l’inclusione come «il metodo e la prospettiva in grado di realizzare un processo di riconoscimento reciproco, in cui le ragioni di ciascuno si incastrino in un percorso di crescita comune». Vuol dire che senza inclusione non si può avere né senso di appartenenza né equità.
L’inclusione, però, non va confusa con l’accoglienza, che rappresenta un passaggio precedente, perché ‘includere’ implica un più alto livello di coinvolgimento dei cittadini accoglienti. La sicurezza, poi, può essere realmente ‘partecipata’ solo se riguarda tutti, nessuno escluso. Sentirsi al sicuro presuppone il sentirsi ‘accolti’ in un determinato contesto sociale, nel quale la persona sia realmente libera.
Ma ogni libertà implica responsabilità, impegno per il bene comune.

La legalità contribuisce, insomma, a creare una società accogliente ed eterogenea, fatta di persone capaci di vedere nell’altro un’opportunità e non un nemico; una società aperta alle diversità e fondata sulla condivisione di diritti e doveri.

Formare ed educare alla sicurezza non basta. È necessario costruire presupposti indispensabili, tra cui spicca un adeguato ‘ponte comunicativo’. La sua assenza genera conflitti e tensioni continue.
Emblematico il caso di Corridonia, Comune del maceratese di poco più di 15mila abitanti, dove la popolazione straniera (prevalentemente di origine pakistana) è in forte crescita e nel centro storico raggiunge il 30% del totale dei residenti. Nonostante gli sforzi da parte delle Istituzioni e di varie Associazioni territoriali, non si è riusciti a costruire adeguate linee di dialogo e la cronaca registra casi di intolleranza e chiusura da parte della popolazione autoctona.

Spaccature interne alle comunità, assenza di dialogo e conoscenza tra cittadini, diffidenza nei confronti dello straniero minano le fondamenta di qualsiasi sforzo progettuale.
Ciò non deve indurre alla resa, perché la verità è che la convivenza inclusiva non è più una opzione, ma l’unica strada ragionevolmente percorribile.
Ne è ottimo esempio il lavoro svolto a Desio, dove la comunità pakistana raggiunge il 10% del totale della popolazione residente. Grazie all’impegno di alcuni, sono stati messi in pratica nuovi metodi di approccio e si sta colmando con successo lo spazio esistente tra ‘essere’ e ‘non essere’ comunità, tra il riuscire a costruire o meno le precondizioni indispensabili perché si realizzino legalità e sicurezza. A tal proposito, si è scelto di coinvolgere concretamente i cittadini stranieri.

Nella direzione di vivere il potenziale inclusivo della legalità, è essenziale
– partire dallo studio del contesto umano, anche in relazione alla provenienza dei residenti e all’incidenza della popolazione straniera di quel territorio;
– adeguare presentazione, linguaggio e forma comunicativa, sul modello di progetti virtuosi già in essere;
– promuovere la costituzione, ove possibile, di gruppi del tipo CdV eterogenei, comprendenti in egual misura cittadini italiani e stranieri;
– coinvolgere associazioni culturali e religiose di stranieri presenti sul territorio, proponendo progetti formativi sulla legalità e sulla sicurezza;
– inserire nel PTOF degli Istituti scolastici progetti inclusivi riguardanti legalità e sicurezza, per i quali insegnanti e professionisti lavorino in totale sinergia;
– far conoscere progetti virtuosi in ogni luogo d’aggregazione anche di stranieri (di culto, culturali, di ritrovo e svago) presenti su territorio.

Fondamentale è promuovere un confronto costruttivo.



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