PMI E DIGITALIZZAZIONE

PMI E DIGITALIZZAZIONE

Un problema non più rinviabile

Solo il 44% delle PMI italiane può ritenersi oggi ‘digitalizzato’. Una percentuale che non soddisfa (siamo secondi alla Spagna con una copertura del 45% e 25esimi in Europa – dati DESI 2020), se si paragona al primato del ruolo nel substrato economico nazionale.
Su un totale di 4,4 milioni di aziende italiane, le piccole e medie imprese (senza considerare le nano imprese), cioè quelle con un numero di addetti compreso fra i 10 e i 249 e un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro, contribuiscono a generare il 41% del fatturato nazionale e il 38% PIL, oltre a dare lavoro ad oltre un terzo degli occupati nazionali.

Se negli ultimi anni la mancanza di digitalizzazione si rilevava in concomitanza con il passaggio generazionale o con l’evidenziarsi di una crisi di impresa, il momento pandemico ha reso ancora più evidente la necessità di innovazione e di digitalizzazione di processi e strategie organizzative.

Mentre i dati europei sottolineano una digitalizzazione della PMI trasnazionale, l’Italia sembra essersi fermata e ancorata a processi produttivi e comunicativi d’antan: mancanza di gestione cloud e archivi informatici, di processi produttivi digitali e progettazione non cartacea, mancanza di crescita della produttività nell’ultimo periodo. Non siamo competitivi né ben collocati nella dimensione europea (mancanza di accesso ai bandi europei, ai finanziamenti dedicati, ai processi di aggiornamento transnazionali, al mercato d’oltralpe) proprio perché mancano le competenze digitali!

In particolare, l’arretratezza delle realtà del nostro sistema economico riguarda:
– connettività (diffusione banda larga-fissa, mobile, copertura 4G, preparazione al 5G, indice dei prezzi dei servizi a banda larga);
– capitale umano (competenze digitali, specialisti in tecnologie per l’informazione e la comunicazione, laureati nel settore ICT);
– uso dei servizi internet (utenti di internet, videochiamate, social network, frequentazione di corsi online, servizi bancari, shopping, vendite online);
– integrazione delle tecnologie digitali (scambio di informazioni elettroniche, big data, cloud, fatturato del commercio elettronico, vendite online da parte delle PMI);
– servizi pubblici digitali (utenti e-government, livello di completezza dei servizi online, servizi pubblici digitali per le imprese, Open Data).
Senza qui evidenziare il preoccupante gap tra Nord e Sud Italia.

Una prima presa di coscienza dello stato di arretratezza analogica è immediatamente seguita al primo lockdown. La necessaria gestione da remoto di alcuni processi produttivi, delle comunicazioni e delle organizzazioni dell’impresa ha evidenziato d’un fiato l’arretratezza delle nostre realtà.

A conclusione della prima ondata pandemica, l’Osservatorio Innovazione Digitale delle PMI, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, ha esaminato, classificandolo, lo stato digitale delle piccole e medie imprese. Se da una parte è emerso che il Covid-19 ha accelerato la scelta obbligata di ricorrere alle nuove tecnologie, dall’altra si è rivelato che l’accaparramento del mondo digitale si arrestato – anche dopo il primo momento pandemico – all’eCommerce e al lavoro da remoto, senza costituire un primo passo di un processo di digitalizzazione che doveva essere implementato al fine di recuperare quella competitività che già in difficoltà, aveva trovato uno stallo forzato.

Per quanto riguarda l’eCommerce, l’Osservatorio ha registrato una crescita di oltre il 50% rispetto al periodo ante il Coronavirus; si è trattato prevalentemente di un affaccio sul mondo del commercio digitale fondato sull’utilizzo di piattaforme di terze parti, necessarie nell’immediato al fine di ovviare alle chiusure forzate dei punti vendita.
Ma poche sono state le PMI che hanno fruito della necessità al fine di proseguire nell’organizzazione e-commerce della propria attività, per quanto il canale online tenderà a rimanere uno degli sbocchi di vendita delle PMI anche in futuro (in realtà 4 aziende su 10 hanno dichiarato che sarà una priorità di investimento nel 2021).

La chiusura e il distanziamento sociale hanno altresì incrementato il ricorso al remote working e all’uso di piattaforme digitali per lo scambio di dati e informazioni aziendali.
Molte aziende hanno provveduto alla immediata necessità di prosecuzione dell’attività aziendale da remoto convertendo i propri gestionali in servizi cloud (69% delle PMI), ma senza che tale scelta innovativa si trasformasse in una progettazione più complessa ed articolata di nuovi strumenti e competenze digitali.

Quello che emerge dall’indagine è che, ad eccezion fatta per l’eCommerce e l’implementazione dei sistemi cloud, la trasformazione digitale non assume oggi per le PMI a valore strategico e a una voce di programmazione di medio-lungo periodo, ma si concentra esclusivamente nell’arco temporale dell’immediato su servizi e strumenti operativi.
Tant’ è che il 43% delle PMI sembrerebbe manifestare resistenze nei confronti del digitale.

L’analisi condotta dall’Osservatorio ha classificato, attraverso l’applicazione di ventidue indicatori correlati a digitalizzazione dei processi primari e cultura digitale dell’azienda, il livello di maturità digitale delle PMI, ricavando le seguenti quattro catgorie:

– analogico: il 7% delle PMI gestisce i processi produttivi per lo più in modo manuale e il 58% degli applicati non conosce la tecnologia ERP. Il 71% degli intervistati ritiene il digitale troppo costoso o non adatto al proprio settore;
– timido: comprende il 40% delle PMI e include quelle che hanno cominciato a digitalizzare alcuni processi perché spinti da obblighi di legge (fatturazione elettronica), o da sollecitazioni esterne (emergenza pandemica);
– convinto: il 44% delle piccole e medie imprese non solo hanno digitalizzato alcuni processi, ma le imprese che lo rappresentano mostrano un approccio strategico nei confronti del digitale;
– avanzato: è il 9% degli intervistati, dominato da un buon livello di competenza su temi come i Big Data, oltre che da una apertura verso i mercati globali più marcata rispetto agli altri cluster.

La necessaria competenza imprenditoriale caratterizzata anche dall’ obbligata innovazione e digitalizzazione (gestionale, produttiva, comunicativa) oggi dev’essere il primo tra i punti all’ordine del giorno dell’amministrazione dell’impresa competitiva del futuro.
A maggior ragione se si pensa che il 27% delle risorse previste dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) è riservato proprio alla digitalizzazione.
La Missione 1 – componente 2 del Piano si è posta l’obiettivo di rilanciare la competitività e la produttività del Paese attraverso l’incremento del tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione perpetrato con interventi tra loro complementari.
Se da una parte più della metà degli investimenti allocati nella Componente 2, per un valore di 13,97 miliardi, sarà destinato all’incentivazione fiscale del Piano Transizione 4.0, nella speranza che le agevolazioni diano impulso all’implementazione di soluzioni che possano traghettare anche le PMI verso una digitalizzazione compiuta, dall’altra solo la metabolizzata comprensione dell’occasione potrà trasformare l’offerta in un vero momento di rilancio.

Bandi, incentivi fiscali, obblighi di legge (sistemi di riconoscimento e accesso alle PA digitali) sono solo i primi tra gli strumenti offerti alle imprese al fine di incentivare il loro processo di digitalizzazione. Gli obblighi di adeguato assetto organizzativo dovrebbe costituire la seconda motivazione per progettare e definire la transizione digitale di ciascuna impresa.

Numerose anche le iniziative private.
Intesa Sanpaolo, ad esempio, ha lanciato la terza edizione di ‘Imprese Vincenti’, un programma grazie al quale le PMI italiane vengono inserite in percorsi di valorizzazione, visibilità e supporto allo sviluppo, grazie ad advisory su competenze strategiche, formazione e workshop.
Le imprese sono definite ‘vincenti’ perché – nonostante la crisi dovuta derivante dal momento pandemico – sono state capaci di reagire, crescere, mantenere posti di lavoro, attuare trasformazioni digitali, organizzative ed attivare soluzioni ad elevata sostenibilità sul piano economico-sociale e ambientale.
L’edizione 2021 del Digital Tour di Imprese Vincenti è composta da tappe tematiche che rappresentano i capisaldi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): innovazione, ricerca e sviluppo; internazionalizzazione; digitalizzazione; agroalimentare; filiere e territorio; sostenibilità – ESG; persone e capitale umano; impact.
I primi tre punti costituiscono le pietre miliari della costruzione del futuro del tessuto economico.

La PMI italiana è chiamata al risveglio dal torpore del boom economico degli anni ’80 e dal negativismo della pandemia, per rendersi oggi competitive e funzionali grazie all’utilizzo di nuovi strumenti che le pongano alla finestra dell’Europa con rinnovate capacità e produttività, tempistiche ed offerte.
Il Made in Italy necessita oggi di competenza e presenza, di innovazione capace e digitale.

In questo, le sinergie tra le diverse associazioni afferenti ai settori commercio, artigianato, industrie, camere di commercio, debbano confluire al fine di realizzare quell’impulso che la realtà tissutale economica del nostro Paese oggi necessita. L’individuazione di programmi di formazione destinati step by step all’implementazione delle conoscenze digitali e organizzative, al fine di imporre un minimo sapere comune e la programmazione di obiettivi temporali certi, potrebbe costituire un momento di confronto, scambio e sostegno al fine di creare quel network digitale e umano oggi assente. Per questo si auspica non solo che l’occasione possa essere colta da rappresentanti e rappresentati, ma che la sordità che aleggia tra competitor più o meno vicini, si trasformi in ascolto e scambio per la progettazione di un futuro economico commerciale ove il prodotto italiano costituisca la centralità dell’agire comune.



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