
Possibile incostituzionalità dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio: si punti sulla determinatezza dei precetti penali
Il reato d’abuso d’ufficio commesso dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle proprie funzioni, procura intenzionalmente a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è stato oggetto di numerose modifiche sino a giungere alla riforma del luglio dello scorso anno, con la quale è stato definitivamente abolito.
Una svolta significativa nella giustizia italiana che, nonostante lo scopo teso a ridurre il carico giudiziario e migliorarne l’efficienza, ha suscitato sin da subito un ampio dibattito, e ciò anche in ragione del considerevole vuoto normativo venuto a crearsi.
Secondo i più, infatti, ritenere “superfluo” un illecito penale unicamente per la sua scarsa applicazione non considera adeguatamente né l’effetto deterrente che il diritto penale esercita in generale, dissuadendo i cittadini dal commettere reati, né tantomeno l’importanza che talune fattispecie penali rivestono per la salvaguardia di rilevanti beni giuridici. D’altro lato, invece, i sostenitori affermano che la formulazione della norma eccessivamente vaga e la sua applicazione ridotta non ha fatto altro nel corso del tempo che scoraggiare i funzionari pubblici dall’assumere decisioni necessarie per paura di essere perseguiti.
Ora la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza dello scorso 7 marzo, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma con la quale è stato abrogato l’abuso d’ufficio.
La Corte osserva che, in adempimento degli obblighi internazionali assunti, costituzionalmente vincolanti, lo Stato dovrebbe con l’ordinamento impegnarsi a preservare gli standard di tutela raggiunti a livello sovranazionale e, dunque, astenersi dall’adottare misure legislative che possano di fatto far regredire la normativa nazionale sui livelli raggiunti.
In realtà la riforma Nordio è intervenuta su più fronti proprio con lo scopo di razionalizzare il compendio di reati che interagivano con la figura dell’abuso d’ufficio, prevedendo, a fronte della sua abrogazione e del depotenziamento del reato di traffico di influenze illecite, l’introduzione di una nuova figura di reato, il peculato per distrazione, particolarmente incisiva sugli amministratori locali.
Meritocrazia Italia ha più volte espresso parere favorevole per l’intervento legislativo, rilevando, ad esempio, alcune criticità venutesi a creare nel comparto della p.a., concentrate su due aspetti: da un lato il timore della mannaia penale, celata da norme di applicazione ampia come l’abuso di ufficio, che spesso sclerotizzava l’amministrazione per la paura della firma, dall’altro l’innesco di una sorta di reazione a catena su inefficienze, ritardi e condotte altrettanto rilevanti in senso negativo, a fortiori inglobate in una dinamica incriminatrice che nel tempo ha visto pochissime condanne e tantissimi processi.
Se si considera che la riforma Nordio poggia le basi su tale dato statistico, che resta inconfutabile, è anche vero che non si può ignorare quanto già rilevato in precedenza da Meritocrazia: la scarsa applicazione pratica della fattispecie tipica sembra avere un’eziologia diversa dalla mera evoluzione del contesto giuridico o processuale di riferimento. Ciò che ha inciso in materia determinante nello svuotamento del reato in sede di accertamento sono state le differenti versioni del testo che si sono succedute nel tempo. Il più grande limite dell’abuso d’ufficio non era la sua ratio o il suo contenuto né la dissuasività, bensì la tecnica di formulazione prescelta, spesso indeterminata e talvolta addirittura scadente.
Meritocrazia ribadisce, nell’attesa di approfondire gli sviluppi del giudizio di legittimità costituzionale, che la priorità per il legislatore sia quella di garantire un’adeguata determinatezza dei precetti penali per consentire l’autodeterminazione del singolo a non violarli senza timore di essere smentito.
Non è creando nuovi reati che si rispetta la lotta alla corruzione ma garantendo la sinergia tra il sistema penale e quello processuale affinché una norma chiara sia resa effettiva dalla razionale gestione del processo sin dalla fase investigativa, soprattutto nel contrasto dei fenomeni corruttivi che hanno inquinato gran parte dei settori nevralgici dello Stato.
Stop war.