Questione ‘extra-profitti’

Questione ‘extra-profitti’

Di cosa si tratta?

Per far fronte all’attuale andamento dei tassi d’interesse e del grande impatto sociale derivante dall’aumento delle rate dei muti, il Governo opta per il prelievo straordinario una tantum, limitato all’anno 2023, con aliquota al 40% sugli extraprofitti degli istituti di credito; come confermato dal c.d. decreto Omnibus-bis o decreto Asset, convertito in legge e pubblicato in Gazzetta lo scorso 9 ottobre.

Si tratta di una misura molto discussa sin dalla versione condivisa del 10 agosto e che, nelle intenzioni, dovrebbe dare effettività al principio di ‘eguaglianza sostanziale’ e di ‘equità sociale’ al quale dovrebbe sempre tendere il sistema tributario; una manovra che dovrebbe consentire il recupero di più di due miliardi, volti al finanziamento del taglio del cuneo fiscale, delle misure per il mutuo prima casa, nonché del fondo di garanzia dei prestiti delle banche a favore delle piccole e medie imprese.

Come funziona?

All’art. 26 del decreto Omnibus è spiegato che l’aliquota al 40% sarà applicata:
– solo agli istituti di credito;
– solo sull’extra-profitto relativo all’esercizio 2023, ossia sul maggior valore del margine d’interesse «che eccede per almeno il 10% il medesimo margine» dell’esercizio 2021.
Il tetto massimo del prelievo, quale limite da non superare, sale dal precedente 0,1% del totale attivo allo 0,26% dell’importo complessivo dell’esposizione al rischio su base individuale (escludendo così i titoli di Stato).

A seguito delle sollevazioni degli ultimi mesi, l’originaria proposta ha subito rilevanti modifiche.
Di seguito le principali novità:
– si è voluto commisurare l’eventuale tributo dovuto unicamente a una voce di conto economico espressiva del margine di interesse (quell’attività determinante la maturazione degli “extraprofitti”), con la conseguenza che dalla voce 30 del CE dovrebbero essere espunti gli interessi attivi maturati su titoli del debito pubblico, per tener conto soltanto delle remunerazioni conseguite con l’attività rappresentata dall’erogazione di crediti;
– ai sensi del nuovo comma 5 bis dell’art. 26, le banche, anziché versare la tassa, possano destinare a una individuata riserva non distribuibile una somma non minore di due volte e mezzo l’imposta per rafforzare il proprio patrimonio, ciò in sede di approvazione del bilancio relativo all’esercizio antecedente a quello in corso al 1° gennaio 2024. In caso di violazione (ossia di utili distribuiti) seguirebbe la penale corrispondente al versamento dell’imposta, maggiorata di un importo pari al tasso di interesse sui depositi presso la BCE;
– ai sensi del comma 6 bis, altresì, è fatto divieto alle banche di traslare nei confronti di imprese e clienti finali gli oneri derivanti dall’applicazione della menzionata imposizione, garantito attraverso compiti di vigilanza affidati all’Antitrust.

Resta una perplessità. Il gettito è incerto, in quanto alcune grandi banche hanno dichiarato di voler accantonare gli extra utili a riserva (-1,8 miliardi di mancato introito). Inoltre non è chiaro se le banche potrebbe decidere di rimandare al 2024 la distribuzione degli utili.

Vi è anche una criticità in termini di impatto sull’accesso al credito. Secondo l’ABI, la tassa potrebbe indurre le banche a ridurre il loro investimento nei prestiti alle piccole e medie imprese, in quanto attività rischiose, con conseguente riduzione dell’offerta di credito con conseguenze negative per l’economia reale.

Inoltre, l’imposta, incidendo in modo rilevante (40%) su importi concernenti una specifica voce del conto economico delle banche (il margine di interesse) intesa quale base imponibile del prelievo, risultava inizialmente sospetta di incostituzionalità dal punto di vista soggettivo, per la potenziale alterazione del nesso fra imposizione fiscale e capacità contributiva; ciò nell’ambito della medesima categoria di contribuenti, con possibile sindacato negativo di costituzionalità.
Le modifiche apportare hanno mitigato il rischio, attraverso la maggiore selettività nell’identificazione degli extraprofitti tassabili, con entità massima ridimensionata (in favore delle banche) anche se a discapito delle prospettive di gettito iniziali. Tuttavia, non sembrano superati tutti i dubbi di legittimità connessi, soprattutto innanzi all’introduzione della facoltà sopracitata di “accantonamento” in luogo del versamento che, sotto un punto di vista quantitativo, risulta maggiormente penalizzante (in termini di riduzione degli utili disponibili) per chi decidesse di non versarla.

La misura ricorda esperienze passate. Si pensa al ‘contributo straordinario contro il caro bollette’, introdotto dal d.l. n. 21 del 2022 all’art. 37, pari al 10% degli extra-profitti delle imprese operanti nel settore energetico, al fine di contenere per le imprese e i consumatori gli effetti dell’aumento dei prezzi e delle tariffe di settore.
Ed ancora la ‘Robin Hood Tax’ (ex art. 81, d.l. n. 112 del 2008), una extra-imposta sulle imprese energetiche, poi dichiarata incostituzionale dalla Corte principalmente per la sua permanenza a regime.

All’estero l’extra-prelievo è già realtà. La Spagna è stata la prima a chiedere alle banche ed alle utility di contribuire introducendo una tassa sui super utili. Il Ministero delle Finanze spagnolo ha previsto che l’incasso annuale delle due imposte temporanee (applicabili nel 2023 e 2024) supererà i 2,9 miliardi di euro, tassando rispettivamente il margine di intermediazione e il reddito da attività.

Ma, a monte, che cosa si intende per ‘extra-profitto’?

Detto anche “sopraprofitto”, non è altro che «l’eccedenza sul profitto normale del profitto effettivamente conseguito da un’impresa: si tratta di un guadagno differenziale derivante dalla capacità di produrre a costi unitarî medî più bassi (per particolari situazioni di ubicazione, superiorità tecnica o organizzativa, disponibilità di brevetti e materie prime, ecc.), che tuttavia tende progressivamente a scomparire per il gioco della concorrenza».
In termini meno enciclopedici, è il conseguimento di un guadagno che si discosta generalmente da quello solito, talune volte anche per cifre elevate (c.d. guadagno record).
Volendo fare un esempio concreto, si pensi all’extraprofitto delle imprese energetiche in relazione all’esplosione del conflitto bellico tra Russia e Ucraina, generato dai seguenti fattori:
– l’aumento della domanda rispetto all’offerta, tale da aver comportato l’aumento alle stelle del prezzo del gas;
– l’aver acquistato le materie prime precedentemente all’invasione dell’Ucraina, senza aver subito quindi l’incremento dei relativi costi.

È un fenomeno, quindi, che deriva spesso da mutate situazioni di mercato circostanziate ed imprevedibili, più che dai meriti dell’imprenditore.

Ed è proprio quello che è successo alle banche allorquando, a seguito dell’aumento dei tassi d’interesse deciso dalla BCE, hanno visto incrementare i ricavi (soprattutto per il rialzo dei tassi dei mutui), senza subire però alcun incremento dei costi sulla provvista dei fondi.
È una condizione tipica delle forme di mercato non perfettamente concorrenziali, dove le imprese hanno la facoltà di determinare i prezzi e lasciare al mercato la determinazione della quantità; determinando un prezzo che risulta superiore al costo medio di produzione, col pericolo di potenziali comportamenti speculativi.
In sostanza, all’aumento dell’onere del costo del denaro per famiglie e imprese non è stato affiancato un aumento di quello che viene dato al correntista. Ed è su questo gap che si calcolerà quindi il 40 % di prelievo sugli extraprofitti.

Ciò considerato, si potrebbe affermare che – seppur ancora opinabile da un punto di vista soggettivo ed altresì per i potenziali impatti negativi sull’offerta di credito – proprio poiché temporanea e non a regime, se calibrata con ulteriori chiarimenti e correzioni, qualcuno offre una chiave di lettura più vicina a quanto detto a Bruxelles, intendendo la misura come un vero e proprio “contributo di solidarietà” necessario.



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