Riduzione della popolazione

Riduzione della popolazione

La persona non sia solo una variabile economica

Il bilancio tra aperture e chiusure delle imprese torna su valori medi degli ultimi quindici anni, attestandosi a +48mila attività rispetto al 2021.

Le nascite di nuove aziende sono però diminuite del 6% rispetto al 2021 e si è accentuato il numero delle cessazioni (+7,5%), con valori assoluti (313mila nuove aperture e 265mila chiusure) in entrambi i casi tra i più contenuti degli ultimi quindici anni. Il dato peggiore si registra in Sardegna dove nascono pochissime imprese: solo 469, il 33,2% in meno del 2021. Secondo i dati Istat, dal 2008 a oggi le nascite sono diminuite di oltre il 30%.

In pratica si assiste alla diminuzione di nuove PMI e alla riduzione delle nascite, fenomeni che cominciano a destare grande preoccupazione anche perché, in una prospettiva non tanto lontana, con meno lavoratori non si potranno più sostenere gli anziani e coloro che andranno in pensione. Le sfide future da affrontare sul piano socio-economico, culturale, tecnologico e istituzionale sembrano, insomma, molteplici, complesse e ricche di incognite.
Occorrono certamente interventi mirati, riforme strutturali, senza dimenticare il timore di mettere al mondo figli per l’incertezza dei nostri tempi.

Ciò che emerge sempre più chiaramente è anche una crescente distanza tra le risorse prodotte e il c.d. aumento geometrico della popolazione, descritto nella teoria malthusiana, secondo la quale sarebbe utile il controllo delle nascite e l’impiego di strumenti tali da disincentivare la natalità, al fine di evitare il deterioramento dell’ecosistema terrestre e l’erosione delle risorse naturali non rinnovabili. Questo modello, oltre che alquanto discutibile, mette in discussione la libertà personale perché im-porrebbe di non generare figli e allo stesso tempo obbligherebbe anche coloro che desiderano generarli.

In realtà, i giovani pensano che dalla precarietà economica nasca l’impossibilità di fare figli ma è anche vero che le condizioni generali di lavoro, in quasi tutti i contesti, spesso non favoriscono una condizione tale da poter conciliare la doppia funzione di lavoratore e genitore. Le riforme dovrebbero garantire sempre la presenza di asili nido in tutti i territori e, ove non ci fos-sero, si potrebbero introdurre dei bonus da usare in asili privati, oltre ad un sostegno economico alle giovani famiglie.

Si potrebbe comunque osare di più e introdurre misure che aiutino a invertire la rotta.

Tutte le imprese dovrebbero, ad esempio, garantire spazi destinati alle mamme che allattano e ai bimbi più piccoli. Se le singole imprese, anche quelle piccole come i negozi di vicinato, non dovessero disporre di spazi idonei potrebbe unirsi in ‘rete’ per mettere a disposizione uno spazio condiviso e godere di un credito d’imposta.

I contratti di lavoro dovrebbero prevedere la possibilità, da parte del lavoratore, di modificare il proprio orario di lavoro. Questa flessibilità potrebbe far guadagnare meno il lavoratore che decide di lavorare qualche ora in meno ma sarebbe a tutto vantaggio della qualità della vita, anche quella familiare.

Incentivare la costruzione o il restauro di edifici, con tutti i requisiti di sostenibilità per favorire lo spostamento delle attività economiche distanti dai centri abitati spesso invivibili per il traffico, lo smog e la sicurezza. Gli edifici dovrebbero avere al massimo due elevazioni per migliorare l’impatto ambientale e paesaggistico. Inoltre, dovrebbero avere degli ambienti idonei

a migliorare i rapporti tra colleghi, spesso inesistenti, grazie allo sviluppo orizzontale degli stessi.
Garantire l’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici a basso impatto ambientale che dovranno prevedere almeno due itinerari circolari. Il primo deve consentire l’accompagnamento dei ragazzi a scuola e l’altro lo spostamento dei lavoratori. In altri orari, gli stessi mezzi potrebbero consentire gli spostamenti ad anziani e pensionati per le loro esigenze personali.

Insomma, non tutto potrà trovare attuazione ma gli studi che descrivono positivamente il fatto che tra circa 30 anni non ci saranno più anziani e ci saranno meno nascite, a tutto vantaggio dell’equilibrio economico, è alquanta inquietante. Non si può, infatti, accettare di ridurre la persona a semplice variabile economica e non considerarla invece il soggetto destinatario del miglioramento della propria condizione di benessere e felicità.



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