SEMAFORO VERDE ALLA MOBILITA’ SOSTENIBILE

SEMAFORO VERDE ALLA MOBILITA’ SOSTENIBILE

Nuove proposte per un’accelerazione di tendenza alla micromobilitá elettrica 

Notevole è l’impegno profuso dall’Italia nella diffusione della cultura della mobilità sostenibile.

A monte, l’Europa è intervenuta con direttive e regolamenti sui problemi generali relativi all’emissione dei trasporti, soffermandosi nello specifico su quelli inerenti la qualità dei combustibili, gli standard emissivi, le infrastrutture di rifornimento e le fonti energetiche. Sulla mobilità sostenibile si è espressa attraverso i Libri Bianchi dei trasporti, di indirizzo e orientamento, verso un sistema di trasporto più efficace ed efficiente. In quello del 2011, in particolare, la Commissione ha definito una strategia globale per un sistema di trasporti europeo più competitivo, rinvenendo, tra i molti obiettivi, anche quello ambizioso di ridurre drasticamente la dipendenza dell’Europa dalle importazioni di petrolio, con conseguente contrazione del 60% delle emissioni di carbonio nei trasporti entro il 2050.

Nel nostro Paese, lo sviluppo di una politica sostenibile nel sistema trasportistico passa per due aspetti fondamentali: la decarbonizzazione dei trasporti, un processo che prevede l’abbandono dei carburanti fossili per la trazione dei veicoli a favore dell’impiego di gas naturali o biometani, ottenuti dalla lavorazione e purificazione di sottoprodotti agricoli e/o rifiuti alimentari, e l’incentivazione alla mobilità alternativa a quella tradizionale, attraverso l’uso di mezzi di trasporto ad emissioni zero o con un minimo d’impatto ambientale (bicicletta, monopattini, mezzi elettrici, trasporto collettivo o in condivisione  – car-pooling e car-sharing).

Rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia è in ritardo, ma si appresta al cambiamento. Tant’è che il tema della mobilità sostenibile è stato rilanciato a seguito dell’emanazione della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019) che al comma 102 dell’art. 1 ha introdotto la possibilità di sperimentare la circolazione su strada di veicoli per la mobilità personale a propulsione prevalentemente elettrica. In attuazione della richiamata legge, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha emanato il decreto n. 229 del 4 giugno 2019, dettando regole precise in materia, in assenza di una disciplina specifica nel codice della strada. A seguire, poi, il Governo ha adottato una serie di misure per incentivare l’acquisto di tali mezzi nonché promosso campagne per diffonderne l’utilizzo in modalità condivisa attraverso il servizio sharing mobility.

In molte Città metropolitane e grandi Comuni italiani, infatti, stanno già circolando da diversi mesi i rivoluzionari metodi di spostamento personale, come segway, monopattini elettrici, overboard o monowheel, favoriti a quelli tradizionali per brevi tragitti. Sono in molti a sceglierli per spostamenti veloci e compatibili con il congestionamento da traffico delle grandi città. Per guidarli non servono immatricolazione, assicurazione, casco o patente; è sufficiente aver compiuto 18 anni ed avere il patentino AM per ciclomotori.

Questa nuova cultura “sostenibile”, comportando un minor numero di veicoli “tradizionali” in circolazione, offre benefici certi e immediati all’utenza tradotti in risparmio economico per carburante, cambio olio, pneumatici, costo del parcheggio e vantaggi nel lungo termine per l’intera collettività attraverso il miglioramento della qualità dell’aria.

Non possono negarsi alcune criticità.

Con l’art. 1, comma 75, l. 27 dicembre 2019, n. 169, i monopattini sono equiparati ai velocipedi e come tali riconosciuti dal Codice della strada, a differenza degli altri “dispositivi di micromobilità elettrica” per i quali continua la sperimentazione secondo legge.

Eppure biciclette e monopattini hanno caratteristiche ergonomiche, dinamiche e strutturali differenti.
Le prime infatti hanno il baricentro posteriore e in basso, ruote con range 26/29 pollici e devono rispondere a norme tecniche comunitarie specifiche, mentre i monopattini hanno il baricentro anteriore e in alto, ruote con range 8/12 pollici e devono riportare solo la marcatura CE prevista dalla direttiva 2006/24/CE (c.d. “direttiva macchine”), che detta prescrizioni di carattere generale. L’equiparazione tra i due mezzi può esserci, dunque, solo per quanto concerne i requisiti di potenza e velocità.

E le differenze, purtroppo, si scontano anche in termini di sicurezza; non sono pochi i casi di incidenti stradali gravi, qualcuno anche mortale, avvenuti negli ultimi tempi a bordo di un monopattino.

Altre criticità riguardano la guida, spesso distratta e su aree non consentite, o da parte di minorenni, la sosta selvaggia su marciapiedi o in aree di grande valore artistico e/ o architettonico, quando non a intralcio della mobilità di persone disabili.

E questo porta a delle riflessioni sulla gestione del “nuovo fenomeno”, in quanto non esiste controllo su questi mezzi, ridotta è la possibilità di reprimere comportamenti scorretti mediante sanzioni amministrative perché non dotati di targa, difficile garantire un risarcimento di danni a persone e cose in caso d’incidentalità perché sprovvisti di assicurazione.

E’ necessario, allora, per addivenire a soluzioni praticabili, condurre un’analisi dei dati e delle abitudini dell’utenza senza dimenticare che a prospettarle per primi dovrebbero essere gli enti locali che sono chiamati a definire per legge (l. n. 340 del 24 novembre 2000 e decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 233 del 5 ottobre 2017) i Piani Urbanistici di Mobilità Sostenibile (PUMS), considerati strumenti strategici per una corretta pianificazione delle azioni orientate a migliorare il sistema di mobilità, integrato all’assetto ed agli sviluppi urbanistici e territoriali.

Dunque, occorre partire dall’analisi della domanda di mobilità per poter studiare ed organizzare spostamenti più sostenibili.

La mobilità sostenibile rappresenta la sfida del futuro, che è già presente, ed è alla base di un sistema di trasporto ideale ove le esigenze di spostamento e movimento, di persone e di merci, devono essere contemperate all’interesse altrettanto meritevole di non generare esternalità negative, col fine ultimo di concorrere ad una buona qualità di vita.

La strada è quella giusta, ma il percorso è lungo e serve che tutti inizino a concepire e condividere nuove modalità di spostamento.

In questo senso, sarebbe utile

– partendo dai dati sopra riportati e con particolare riferimento agli spostamenti urbani, contenuti nel raggio di 5 km,  incentivare la mobilità sostenibile attraverso la creazione di percorsi agevolati o itinerari definiti casa-scuola e casa-lavoro, riprendendo e attualizzando i contenuti della l. n. 221 del 28 dicembre 2015 (avente tra gli obiettivi la realizzazione, a livello nazionale, di un “Programma sperimentale di mobilità sostenibile”, che tenga conto dei percorsi casa-scuola e casa-lavoro, incentivando iniziative di “piedibus, di car-pooling, di car-sharing , di bike-pooling e di bike-sharing, la realizzazione di percorsi protetti per gli spostamenti, anche collettivi e guidati, tra casa e scuola, a piedi o in bicicletta, di laboratori e uscite didattiche con mezzi sostenibili, di programmi di educazione e sicurezza stradale, di riduzione del traffico, dell’inquinamento e della sosta degli autoveicoli in prossimità degli istituti scolastici o delle sedi di lavoro, anche al fine di contrastare problemi derivanti dalla vita sedentaria);

– prevenire la sosta selvaggia dei dispositivi di micromobilità elettrica, prevedendo, a fine utilizzo, il deposito obbligatorio in stalli dedicati o nelle apposite centraline elettriche di caricamento, con consequenziale creazione di tali infrastrutture di servizio dislocate in diverse aree del territorio, se del caso con la previsione di “premialità” per buona condotta (bonus di rifornimento gratuiti) o sanzioni pecuniarie per il caso di contravvenzione (che andrebbero ad incrementare un fondo dedicato ad investimenti di settore);

– creare infrastrutture di scambio che agevolino l’intermodalità dei trasporti (aree di sosta limitrofe a stazioni ferroviarie, metropolitane o a quelle di sharing mobility), con predisposizione di pannelli a messaggio variabile (ovviamente alimentati da fonti di energia rinnovabili) installati lungo le aree urbane che, segnalando congestione di auto in determinate zone, possano suggerire all’utente di parcheggiare e continuare il percorso con mezzi alternativi;

– operare maggiori investimenti per il trasporto su rotaia;

– potenziare, in maniera ragionevole e in relazione al particolare e variabile contesto di mobilità urbana, la rete di piste ciclabili sul territorio nazionale, anche attraverso la riconversione dei vecchi tracciati ferroviari, secondo criteri e modalità previste già dalla l. n. 128 del 9 agosto 2017 (secondo i dati contenuti nella ricerca “Ferrovie dismesse” della Federazione italiana ambiente e bicicletta (F.I.A.B.) su 5.000 km di ferrovie dismesse presenti nel nostro Paese solo 1.000 sono stati convertiti in 57 ciclovie);

– potenziare il trasporto intermodale di merci su ferro, per mare o via d’acqua interna o via aerea, con stanziamenti di fondi ad hoc;

– promuovere politiche economiche volte a incentivare la produzione di biocombustibili, con misure a sostegno dello sviluppo del bio nel settore trasportistico, che oltre a rendere un beneficio alla collettività in termini di qualità d’aria creerebbero “nuova economia” e nuova occupazione.

Di SIMONA IEZZI

 

Fonti: siti istituzionali del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e
della Commissione europea.

 

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